Negli ultimi decenni ci siamo tutti convinti che la conoscenza fosse l’asset decisivo per la crescita economica. Il lavoro cognitivo, il pensiero, le competenze avanzate avrebbero creato valore più di ogni altra cosa.
Essere knowledge worker - un/una professionista con competenze teoriche e analitiche di alto livello, usate per creare prodotti e servizi - era il modo più sicuro per conquistare status, guadagnare bene, e mettersi al riparo dalla disruption tecnologica.
Adesso però che esistono strumenti che ne sanno molto più di noi, che ruolo avrà la conoscenza nel mondo del lavoro del futuro?
La legge del bancomat
Storicamente il lavoro della conoscenza non è mai stato in conflitto con la tecnologia.
Quando una nuova tecnologia emerge può impattare sul lavoro in due modi: sostituisce, o integra. Finora lo sviluppo tecnologico ha sostituito quasi sempre lavori manuali e meccanici, ma non ha mai sostituito i lavoratori della conoscenza. Al contrario, ha integrato e supportato il loro lavoro.
L’invenzione della stampa non ha lasciato disoccupati gli intellettuali che curavano la trascrizione dei libri. Ha creato per loro un’intera industria, con nuove funzioni e nuove possibilità .
Quando è stato inventato il bancomat, gli impiegati di banca hanno smesso di passare le giornate a contare banconote, e hanno cominciato a usare le loro conoscenze finanziarie per creare nuovi prodotti e servizi.
L’evoluzione tecnologica è come una marea che, mentre cresce, solleva anche le funzioni del knowledge work, le porta più in alto.
Non diminuisce, ma aumenta la domanda di lavoratori della conoscenza. E fa crescere i loro stipendi.
Avrà lo stesso effetto anche la rivoluzione dell’intelligenza artificiale?
Tutti knowledge worker o tutti disoccupati
Secondo McKinsey le ore di lavoro che saranno automatizzate grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale potrebbero raggiungere il 70% delle ore di lavoro complessive.
Non saranno soltanto lavori manuali o da blue collar, anzi: sempre di più si stanno automatizzando le funzioni direttive e gestionali, oltre a una parte dei task creativi.
L’AI garantisce un accesso immediato e a costo zero a qualunque tipo di conoscenza, e sta già mettendo in discussione il vantaggio di avere competenze specialistiche.
Nonostante questo, negli scenari più ottimistici anche l’AI farà come le tecnologie che l’hanno preceduta: richiederà sempre maggiore apporto di conoscenza. Aumentando la produttività , l’automazione aumenterà la richiesta di knowledge worker e quindi il loro valore sul mercato del lavoro.
Invece di sparire, i knowledge worker saranno sempre di più. E probabilmente si alzerà la percentuale di conoscenze richiesta in ogni tipo di lavoro, perché quasi tutti i lavori includeranno la necessità di usare o gestire l’AI.
Oppure, al contrario, saremo tutti disoccupati. I knowledge worker verranno in gran parte sostituiti dalle macchine, e resterà solo una ristrettissima élite super qualificata a dirigere il lavoro di un esercito di agenti AI. I lavoratori della conoscenza verranno dequalificati e demansionati. Il knowledge work, diventato inaccessibile ai più, sarà quasi un ricordo del passato.
Sì ma quale conoscenza?
Probabilmente siamo così incerti e sospesi tra scenari opposti anche perché facciamo confusione su quale tipo di conoscenza stiamo mettendo al lavoro.
Il fatto è che il knowledge work attuale non consiste tanto nell’esplorare nuove conoscenze e spostare in avanti la frontiera del sapere. Quando pensiamo ai knowledge worker, non pensiamo come prima cosa a scienziati, ricercatrici, artisti, pensatrici.
Pensiamo più che altro a manager, persone che gestiscono il lavoro, oppure a professionisti che sanno usare questo o quel programma, questo o quel tool.
Sono persone che usano una conoscenza acquisita attraverso una formazione, non persone che generano nuova conoscenza.
E questa probabilmente è la distinzione che in futuro farà tutta la differenza del mondo: chi lavora usando conoscenze acquisite è esposto al pericolo della sostituzione; chi lavora per creare ed esplorare nuove conoscenze, avrà un ruolo sempre più importante e cruciale.
Non ci sarà più o meno lavoro per i knowledge worker. Ci sarà da fare un lavoro diverso.
Sappiamo più di quanto crediamo
L’AI rende la produttività una commodity. Fare di più e più velocemente non sarà più una proposta di valore distintiva: tutti potranno fare quantità enormi di lavoro in tempi irrisori.
Per questo il valore si sposterà verso altre capacità : analisi, creatività , empatia, intuizione, capacità di connessione. Dovremo concentrarci su ciò che è più intrinsecamente umano, e lasciare il resto alle macchine.
Se tutto si può fare con poco sforzo, la competenza cruciale sarà saper scegliere che cosa è importante fare.
Soprattutto, sarà importante valorizzare quella che il matematico e filosofo Michael Polanyi definiva conoscenza informale, o implicita. La capacità di giudizio, l’intuizione, la valutazione esperta che non compare nelle procedure, nei protocolli e nei manuali di istruzione, ma che è spesso decisiva per la riuscita di un progetto.
La conoscenza informale è la più difficile da automatizzare: finora è sfuggita a tutti i tool di productivity management. È soprattutto grazie alla conoscenza informale se i knowledge worker sono rimasti fondamentali nonostante lo sviluppo tecnologico. Perché la tecnologia finora ha sempre avuto bisogno di orientamento, capacità di giudizio, discernimento.
Sappiamo più di quanto crediamo, ha scritto Polanyi per sintetizzare il concetto di conoscenza implicita. Ed è possibile che l’AI, con il suo ruolo di partner, suggeritrice, co-autrice, ispiratrice, possa aiutarci a capire proprio questo. Sappiamo di più di quanto crediamo di sapere. Dobbiamo solo riuscire a riscoprirlo.
In pratica
Per le organizzazioni
Rory Sutherland, vice presidente della leggendaria agenzia Ogilvy, ha raccontato la storia di un edificio in cui le persone si lamentavano perché l’ascensore era troppo lento. Invece di spendere un milione di dollari per rendere l’ascensore il 5% più veloce, hanno speso 100 dollari per mettere nell’ascensore uno specchio. Guardandosi allo specchio, le persone notavano meno la lentezza dell’ascensore.
Nella logica dell’efficienza, il planning per la risoluzione del problema avrebbe previsto benchmark, analisi dei costi, tempistiche di sostituzione. Ma non avrebbe previsto di prendere in considerazione la psicologia umana, e cercare lì la soluzione. Il consiglio è: dopo aver adottato tutti gli strumenti per ottimizzare produttività , funzioni, processi, fate spazio a persone e modalità di progettazione che rendono ancora possibile pensare agli specchi.
Per le persone
Fatevi un esame di conoscenza. Non di coscienza: di conoscenza. Analizzate le vostre competenze, e cercate di capire quali saranno ancora strategiche in futuro. Potete cominciare dando un’occhiata a quelle individuate dal World Economic Forum. Quali di queste competenze possedete? Su quali dovete migliorare o formarvi del tutto? Quali non sapete di possedere già ?
"Per questo il valore si sposterà verso altre capacità : analisi, creatività , empatia, intuizione, capacità di connessione. Dovremo concentrarci su ciò che è più intrinsecamente umano, e lasciare il resto alle macchine."
mi hai fatto pensare molto al lavoro di Indy Johar che non so se conosci.
Se non lo conosci ti passo qui il link al nostro ultimo podcast con lui sull'organizzazione (https://www.youtube.com/watch?v=HHNfSQ2sYz8) e questo invece più recente con Nate Hagens: https://www.youtube.com/watch?v=_U93lQL5aWA&t=4555s
riprendo una parte del testo per condividerti una vevoluzione socratica 5.0: "Sappiamo di più di quanto crediamo di sapere. Dobbiamo solo riuscire a riscoprirlo."
E quindi: "so di non sapere...quanto so in realtà "