Ti presenti al colloquio di lavoro. Il recruiter guarda il tuo CV e chiede: «Perché hai cambiato lavoro così spesso?», ancora prima di chiederti: «che cosa hai fatto di significativo nei tuoi lavori precedenti?».
Ci hanno insegnato che il job hopping, letteralmente il “saltare da un lavoro all’altro”, è qualcosa da giustificare. I cambiamenti frequenti sono un segnale d’allarme, un sintomo di inaffidabilità, imprevedibilità e scarso attaccamento.
Restare per decenni nella stessa azienda, al contrario, è sempre stato garanzia di stabilità e affidabilità. L’anzianità di servizio era uno dei principali criteri per ottenere promozioni e salire nelle gerarchie.
Questo, almeno, era quello che accadeva “prima”.
Nel “dopo” dovremo imparare a saltare.
Hop! Dalla scala al salto
La carriera tradizionale era come una scala: l’obiettivo era salire, attraverso avanzamenti e promozioni. Andare il più possibile dritti.
Il lavoro contemporaneo, invece, valorizza i salti: la capacità di spostarsi lateralmente, muoversi tra lavori diversi, cambiare non solo azienda ma anche industry, area di expertise, luogo di lavoro.
Fare job hopping non è più una debolezza: è una forza. È diventato un vantaggio strategico, perché sempre di più le aziende ricercano agilità, capacità di apprendimento, adattabilità.
Stiamo entrando nell’epoca dei nomadi professionali: professionisti che passano attraverso esperienze diverse, fanno lavori diversi, evolvono, imparano, si adattano a un mondo che cambia di continuo. Professionisti che cercano sfide, creano opportunità e lavorano attivamente alla propria crescita, smettendo di delegarla alle aziende.
Spostati dove ci saranno cibo e acqua
Le civiltà nomadi si spostavano per seguire la disponibilità delle risorse: andavano dove avrebbero trovato cibo e acqua per sé e per gli animali che allevavano. Cercavano contesti più favorevoli.
Per i nomadi professionali cercare contesti più favorevoli non significa andare dove cibo e acqua ci sono già, ma dove ci saranno in futuro. Anticipare i cambiamenti culturali ed economici sempre più rapidi, e farsi trovare pronti.
Facendo esperienze diverse, infatti, i job-hoppers sono in grado di:
adattarsi alla trasformazione dei mercati
adattarsi a un mercato del lavoro che è sempre più volatile
acquisire nuove competenze più rapidamente
rispondere alla domanda crescente di skill specializzate e aggiornate.
Allarga la tribù
Spostandosi, i popoli nomadi avevano l’opportunità di incontrare altri gruppi, confrontarsi con culture e modi di vivere diversi, apprendere dagli altri e anche “mescolarsi”, creare gruppi più grandi e più capaci di prosperare.
Anche i nomadi del lavoro possono allargare la loro tribù professionale di riferimento, conoscere ambiti e persone diverse e quindi:
espandere il proprio network e trovare più opportunità
guadagnare di più e meglio
costruire un portfolio più vario e attrattivo.
Sfuggi all’estinzione
In alcuni casi i popoli nomadi si spostavano per sfuggire ad eventi catastrofici, a cambiamenti climatici drastici, alla presenza di predatori pericolosi. Spostarsi era una questione di sopravvivenza.
Per i nomadi professionali non è tanto diverso: si spostano per sfuggire all’obsolescenza del proprio lavoro. Si muovono in territori nuovi in cui le trasformazioni delle competenze richieste e l’incombere dell’automazione sono meno minacciosi. Sfruttano l’innovazione tecnologica, anziché esserne sfruttati.
Spostandosi, i nomadi professionali inseguono e conquistano la loro libertà, tracciando percorsi che non sono basati sulla fedeltà a un’azienda, ma sulla fedeltà a loro stessi: ai loro interessi, ai loro obiettivi, alla loro ricerca di soddisfazione e di significato.
In pratica
Per le persone
Per diventare un nomade professionale dovrai:
definire obiettivi chiari e a lungo termine, che orienteranno il tuo percorso e le tue scelte di cambiamento
evolvere continuamente: approfittare di ogni esperienza, di ogni “salto”, per acquisire sempre nuove competenze
coltivare le relazioni: cambiare non vuol dire tagliarsi ponti alle spalle, ma costruirne sempre di nuovi, mantenendo e rafforzando le relazioni precedenti
investire nell’apprendimento: che non potrà più essere relegato all’inizio della carriera, ma dovrà essere continuo e in aggiornamento costante.
Per le organizzazioni
Trattenere i dipendenti è sempre stato un imperativo aziendale: un alto tasso di turnover è considerato il sintomo di un’organizzazione incapace di motivare e coinvolgere i propri professionisti.
Ma questa idea appartiene al passato.
Quello che ci attende è l’era della post-retention: l’organizzazione non deve trattenere i professionisti, ma riuscire ad attrarli per collaborare con loro nel momento in cui è più utile e strategico.
Le aziende dovranno diventare i luoghi in cui i nomadi vorranno fermarsi. Dovranno strutturarsi per far posto ai talenti rapidamente, garantire loro accesso ai processi, accoglierli attraverso il lavoro. In un panorama di competenze in continuo aggiornamento, strutturarsi per fare spazio ai nomadi professionali significa poter contare sulle competenze più giuste e avanzate, integrandole facilmente e in poco tempo.
Fare spazio ai nomadi significa crescere insieme a loro.
Ciao Matteo,
mi piace quello che hai scritto e (non "ma", volutamente "e") oggi ti condivido riflessioni che inizialmente potresti considerare distanti o divergenti ma dopo un po' rivederle come integrate :-)
1. ci hanno insegnato ad essere preparati a rispondere, ma in che senso?!? Molti di noi hanno inteso "avere le risposte alle domande e averle possibilmente giuste". Dal mio punto di vista, invece, il "saper rispondere" è "puro" ovvero non avere la risposta ma saper rispondere alla domanda. La differenza è sottile e potrei essere più chiaro con questo claim "una cosa è la risposta, un'altra e saper rispondere". E allora alla domanda "perchè bla bla bla", se abbiamo sviluppato l'abilità di saper rispondere, possiamo cogliere l'occasione, l'opportunità contenuta nel perchè che rappresenza la voglia dell'interlocutore di comprendere qualcosa che appare diverso o complesso.
2. ... e cosi piuttosto che giustificare, usare il perchè per argomentare, illustrare e mostrare.
Ogni diversità genera nell'altro una reazione e se siamo in grado di raccoglierla, la sua reazione, possiamo dimostrare la nostra capacità umana in una "demo" che vale molto più di quanto scritto nel cv. Il CV così si trasforma in un gancio di interesse e in una voglia di approfondire nonchè un una grande opportunità di dimostrare la nostra abilità più importante, sapere essere umani.
3., Dovremmo, quindi, imparare a giocare a tennis con divertimento o a raccogliere la palla avvelenata e restituirla con gentilezza piuttosto che evitarla.
4. Si, serveritornare nomadi così come serve....
5. ...ritornare riflessivi, creativi, intraprendenti e vedere l'acqua e il cibo nel tempo oltre che nello spazio. Nel presente osserveremo dove è presente e ci sposteremo come nomadi, nel futuro che immaginiamo grazie alla riflessione, dove il terreno è povero e ci sono le risorse che possono essere rigenerate, rinnovate e far rifiorire la terra
Serve recuperare l'abilità di essere nomadi e riprenderci l'abilità di riflettere e dare significato e valore anche alla terra che muore. Cosi possiamo gestire l'estinsione, danzando tra il restare e l'andare via, il tornare e "ritornare via"
Riconquistare e riabilitare il trittico: azione, reazione e riflessione