E così è toccato anche a Patagonia.
Dopo Meta, Twitter, Amazon, Bending Spoons, Amazon un’altra volta mascherando i licenziamenti con il ritorno in ufficio, e dopo chissà quante altre aziende nel mondo, anche il brand di abbigliamento diventato sinonimo di responsabilità sociale annuncia una ristrutturazione dell’organico. Che porterà al licenziamento di 41 persone.
I numeri sono lontani da quelli vertiginosi delle big tech ma, essendo Patagonia un’azienda più piccola, si tratta comunque dell’1% della forza lavoro.
Il CEO di Patagonia ha confermato i licenziamenti con un post su LinkedIn, scritto con tatto e molta considerazione per il lavoro delle persone. Spiega che è una questione di ruoli, non di rendimento dei singoli, e annuncia che gli esuberi saranno accompagnati e supportati in un percorso di riqualificazione e transizione.
Firing me softly
Certo, per quanta gentilezza ci si possa mettere, si tratta pur sempre di persone che perdono il lavoro. E vengono mandate via da un’azienda che ha fatto dell’etica e della responsabilità la propria promessa fondamentale.
L’uso cauto delle parole rispecchia quello che abbiamo già detto sul linguaggio aziendale: spesso il modo di parlare rivela delle verità non sempre evidenti sui rapporti di lavoro e il nostro modo di viverli.
Il CEO scrive che Patagonia ha dovuto prendere la difficile decisione di salutare le persone (“the sad and difficult decision to say goodbye”). E in modo simile a questa, tutte le espressioni che riguardano l’interruzione dei rapporti di lavoro sono eufemistiche.
L’inglese ha una bella espressione molto diretta, a dire il vero, che è to fire, che vuol dire bruciare, ridurre in cenere. Ma proprio per evitare questa durezza nei contesti formali si usa la parola layoff, che viene dal verbo to lay, ovvero “adagiare, far sdraiare, mettere a riposo”.
Lo stesso vale per l’equivalente italiano: licenziare, da licenza, significa “accordare un permesso”. Licenziare quindi è dare alle persone il permesso di non lavorare.
Stessa cosa per esonerare, liberare qualcuno da un compito: ti abbiamo tolto l’incombenza di dover lavorare per noi. E “sollevare dall’incarico”? Non dà l’idea di qualcuno a cui è stato tolto un peso, e finalmente è libero di elevarsi, quasi di volare?
Salvare l’azienda
Le parole, il linguaggio, i messaggi che usano le aziende rivelano un certo imbarazzo di fronte al tema dei licenziamenti. Ed è comprensibile: si tratta del momento in cui torna attuale il conflitto storico tra imprese e lavoratori.
Questo stesso imbarazzo spinge spesso le aziende a giustificare le riduzioni di organico con una motivazione forte: dobbiamo fare scelte impopolari, come i licenziamenti, per salvare l’azienda, che è la cosa più importante.
È una mantra che viene ripetuto sempre, in qualunque industry, qualunque sia la scala: la sopravvivenza dell’impresa è a rischio, quindi serve sacrificare una parte dei lavoratori per permettere a tutto il resto di continuare a esistere.
Ma che cos’è tutto il resto? Cosa intendiamo dire esattamente quando affermiamo che stiamo salvando un’azienda?
Per capirlo bisogna prima chiarire che cos’è un’azienda, qual è il vero nucleo della sua esistenza.
Ma che cos’è un’azienda?
Un’azienda non è fatta dai suoi uffici, o dai suoi stabilimenti. Non si identifica coi suoi prodotti. Non è fatta né dal nome, né dal logo, e nemmeno dalle persone che ci lavorano. Perché anche quando cambia qualcuna o perfino tutte queste cose, un’azienda può continuare a esistere.
Un’azienda è un soggetto giuridico che esiste per creare valore. Il valore che crea va a beneficio degli stakeholder e in particolare:
di chi compra/usa i suoi prodotti/servizi (per intenderci, i clienti);
di chi ci lavora o ci collabora;
degli shareholder, ovvero di chi beneficia dei profitti: proprietà, investitori o azionisti.
Sono queste tre leve del valore che danno a un’azienda la sua identità e anche la sua legittimità sociale, cioè giustificano la sua esistenza agli occhi della società.
Quando un’azienda è in difficoltà, e agisce per salvarsi, ciò che davvero sta salvando è un tipo di valore, che non è sempre lo stesso per tutte le aziende, ma si sbilancia verso l’una o l’altra componente a seconda dell’azienda e dei contesti.
Le tre leve del valore infatti possono essere toccate e ritoccate: spostandone una, si spostano anche le altre.
Se un’azienda decide di dare meno valore a chi lavora - pagandolo meno e facendolo lavorare di più - probabilmente, almeno nel breve periodo, potrà generare più valore economico per gli shareholder. Mentre se al contrario decide di redistribuire gli utili ai dipendenti, aumenta il valore per loro sottraendolo agli shareholder.
Quando un’azienda licenzia, è probabile che stia salvaguardando il valore degli shareholder. Più raramente quello dei clienti, anche se ci sono casi in cui salvare un’azienda significa salvare un servizio fondamentale per le persone.
C’è anche da dire però che queste sono le storie di cui sentiamo parlare più spesso, perché i licenziamenti fanno più notizia. Eppure esistono casi in cui gli imprenditori hanno messo mano al portafoglio per salvare il valore che l’azienda generava per lavoratori e clienti. Solo che fanno meno rumore.
Tutte le volte che c’è un’azienda “da salvare”, insomma, sarebbe bello se riuscissimo a dire e pretendere che ci sia detto apertamente che cosa stiamo salvando, a quale valore stiamo dando la priorità.
Dimmi a cosa dai valore
In questo senso, l’annuncio di Patagonia non manca di chiarezza: quello che cerchiamo di preservare, ha scritto il CEO, nel momento in cui prendiamo misure drastiche, è “un esperimento radicale, che da 51 anni dimostra in modo coerente che si può fare business in modo diverso e più responsabile”.
Questo non cambia ovviamente la realtà delle persone coinvolte, ma consegna all’opinione pubblica, a noi tutti, un elemento in più per valutare quello che succede.
Chiarezza e trasparenza da parte delle aziende aiutano le persone che guardano da fuori a non cadere nel meccanismo di indignazione permanente alimentato dai media. I licenziamenti di massa sono molto notiziabili, facilmente comprensibili, e soddisfano il desiderio di narrazioni in bianco e nero, di buoni contro cattivi che proliferano nei nostri spazi comunicativi.
Ma gli imprenditori non sono quasi mai gli uomini e le donne avidi di potere e denaro descritti dai media. Sono spesso persone che hanno idee, che seguono una passione, che hanno fatto sacrifici e hanno dato molto alla comunità. Conoscere meglio le loro intenzioni, le loro azioni e il perché hanno creato e protetto un’azienda ci aiuta a capire meglio le loro ragioni, e a decidere se il valore che stanno difendendo è un valore anche per noi.
In pratica
Quale lezione possiamo imparare dalla storia di Patagonia, e dalle tante storie di licenziamenti che ascoltiamo in questo periodo?
Per le organizzazioni
Interrogatevi sempre sulle leve del valore. Chiedetevi che tipo di valore state generando, e raccontatelo, rendetelo esplicito, in modo che le persone fuori possano comprendere meglio le vostre scelte, valutare i vostri obiettivi, e ricordarseli anche quando le cose andranno meno bene e dovrete fare scelte dolorose.
Per le persone
Scegliete sempre di lavorare con organizzazioni in cui le leve del valore sono chiare, dove è chiaro a cosa si sta dando priorità. Se avete un’idea precisa di quali valori privilegia l’azienda per cui lavorate, siete in grado di fare scelte più consapevoli, e non vi troverete in balìa di dinamiche incomprensibili che passano sopra la vostra testa.