L’evento a tema lavoro più condiviso e commentato della settimana è stato il messaggio con cui Andy Jassy, CEO di Amazon, ha comunicato ai dipendenti un piano di riduzione del lavoro da remoto e di ritorno negli uffici.
La lettera di Jassy ai dipendenti si intitola “rafforzare la nostra cultura”: l’unico modo per tenere viva e alimentare la cultura aziendale che ha fatto la fortuna di Amazon è, dice il CEO, lavorare gomito a gomito, in presenza, negli stessi spazi.
Lavorare in presenza, scrive Jassy spazzando via un paio di anni di dibattiti, migliora la capacità di collaborare, inventare, reagire rapidamente, imparare, sperimentare, e in sostanza di agire come “la più grande startup del mondo”, l’immagine che Amazon vuole avere di sé stessa.
Il sospetto però è che la cultura non sia la vera motivazione alla base di questa decisione. E che piuttosto le motivazioni siano di natura finanziaria.
Follow the money
Nel 2020-21, a seguito del Covid, la domanda di servizi tecnologici è aumentata moltissimo e Amazon, esattamente come altri player del tech, beneficiando di un costo del denaro vicino allo zero, ha assunto persone ed esteso la propria forza lavoro da remoto per rispondere alla crescita della domanda.
L’azienda è passata dai 798k dipendenti del 2019 al record di oltre 1,6M del 2021 (+100%). Nello stesso periodo di tempo il margine è triplicato fino a 33,3 miliardi. E questo nonostante si lavorasse obbligatoriamente da remoto.
La rotta si è invertita nel 2022, quando Amazon ha registrato una perdita di 2,7 miliardi. La spesa tecnologica è crollata, i tassi di interesse sono aumentati, e il margine si è ridotto bruscamente.
La reazione di Amazon è stata una corsa al taglio dei costi: oltre 27 mila licenziamenti, una completa riorganizzazione della rete di distribuzione statunitense e altre misure per rendere più efficienti i processi hanno riportato i profitti a oltre 30,4 miliardi nel 2023. Ma siamo ancora sotto i livelli del 2021 e quindi è probabile che le operazioni di riduzione costi non siano finite.
La politica del ritorno in ufficio va inserita in questo contesto economico. Dopo il Covid molte persone hanno strutturato le vite proprie e delle loro famiglie sul lavoro da remoto. Un cambiamento così invasivo nelle loro nuove abitudini di vita porterà inevitabilmente molti dipendenti a dimettersi. Così questo richiamo alla “cultura” nasconde in realtà dei licenziamenti indiretti.
Armi di distrazione
Una delle regole fondamentali quando parliamo del lavoro “dopo” è sempre chiedersi: di cosa stiamo parlando veramente? Davvero chi parla dei problemi del lavoro remoto sta parlando di cultura organizzativa?
L’operazione “cultura” di Amazon e delle altre aziende tech è un’arma di distrazione di massa: innesca un flame che porta tutti noi ad accapigliarci sui pro e i contro del lavoro da remoto, e intanto fa passare sotto traccia l’operazione finanziaria in atto per abbattere i costi organizzativi che impediscono di garantire il margine promesso agli investitori.
Non è facile se non sai come farlo
Fatta questa premessa, passiamo a qualche considerazione più specifica sul lavoro da remoto.
In generale preferisco parlare di lavoro distribuito: la vera innovazione abilitata dalla globalizzazione e dall’innovazione tecnologica è la possibilità di spacchettare le componenti del lavoro (problema → processo → task → skill → risultato) e distribuirle a persone diverse, ovunque siano nel mondo, oppure a delle macchine. Questo è un dato di fatto e ignorarlo significa ignorare il progresso.
Far frusciare un vinile su un giradischi è una bella esperienza vintage, ma non cancella la possibilità di avere in streaming tutta la musica del mondo. È suggestivo andare a cercare un libro nel silenzio di una biblioteca, ma non possiamo ignorare che tutto il sapere dell’umanità è disponibile online.
Allo stesso modo, pensare che per svolgere un lavoro sia necessario far confluire persone nello stesso posto e nello stesso momento è lecito, ma è anacronistico rispetto alle possibilità che ci danno globalizzazione e tecnologia.Lavorare da remoto non è semplice per diversi motivi; la presenza fisica in generale facilita condivisione e collaborazione. La metafora più interessante che ho letto in questo senso è che l’ufficio è come la palestra: normalmente non ci vogliamo andare perché starsene a casa è più comodo, ma dopo che ci siamo stati ne apprezziamo i benefici. Tuttavia credo che buona parte dei problemi che noi associamo al lavoro da remoto sono in realtà problemi che derivano dalla sostanziale incapacità delle organizzazioni di gestirlo. Esistono moltissimi esempi di persone che si organizzano da remoto per svolgere un “lavoro”, inteso come arrivare a un obiettivo → mettendo a disposizione skill → per eseguire task → all’interno di un processo definito → che risolve un problema:
Chi lavora a progetti open source
Le Community of Practice online come Wikipedia
Persino i nostri figli che giocano online con altri ragazzi e ragazze sparsi per il mondo
Se riescono a farlo è perché sono molto chiari lo scopo e il “sistema operativo” che definisce le regole con cui si può contribuire ed entrare in relazione con gli altri. Siccome definire questo scopo e creare le regole d’ingaggio è complicatissimo per la maggior parte delle organizzazioni, è più facile dire che il lavoro distribuito è un problema.
In pratica
E ora qualche consiglio pratico per lavoratori e organizzazioni.
Per chi lavora
Ogni nostra scelta, inclusa la scelta di un lavoro e di un’organizzazione a cui appartenere, dovrebbe essere la conseguenza dei nostri desideri, del nostro scopo, di ciò a cui diamo importanza. Se la nostra priorità è avere un ottimo stipendio, oppure lavorare in un’azienda tecnologica globale, è possibile che ci venga chiesto di rinunciare a qualcos’altro, come alla possibilità di lavorare da remoto. Nel corso della vita le nostre priorità possono cambiare per mille motivi e per questo è fondamentale chiederci che cosa desideriamo ogni giorno, e allineare le nostre scelte di conseguenza. Se non ci diamo uno scopo, ce ne verrà assegnato uno.
Per le organizzazioni
Attenzione a cosa fate attenzione! Non fatevi distrarre da pensieri come “se Amazon o i colossi del big tech tornano in ufficio, dovremmo farlo anche noi”. Dietro alle loro scelte ci sono logiche molto più complesse dei fattori “culturali”. Soprattutto, non tutte le organizzazioni sono Amazon. Per la maggior parte delle aziende, probabilmente anche la vostra, il lavoro da remoto - o meglio il lavoro distribuito - è un’opportunità straordinaria da sfruttare per poter competere con i colossi, che dalla loro avranno sempre la leva economica, la scala e la capillarità geografica. Costruire un’organizzazione capace di distribuire il lavoro a persone localizzate in tutto il mondo permette di arrivare a collaborare con talenti altrimenti irraggiungibili, anche attraverso modalità nuove.
Se Amazon riporta tutti in ufficio, forse è proprio il momento giusto per trasformare la vostra azienda in un’organizzazione distribuita.
Negli ultimi anni ci siamo abituati a continui e rapidi cambiamenti nell’economia che mettono a dura prova le organizzazioni: come fare per essere flessibili, assecondare i picchi di domanda e adattarsi ai repentini cali? Assumere-assumere-assumere e poi licenziare-licenziare-licenziare non può essere chiaramente la via. Serve orchestrare in modo sapiente ed equilibrato un mix di:
Dipendenti full-time
Dipendenti part-time (questa espressione che usiamo solitamente in Italia è fuorviante, con part-time voglio intendere quello che in inglese si chiama fractional employment, cioè una forma contrattuale che combina la continuità dei contratti a lungo termine, la flessibilità nella gestione dei costi dei contratti part-time e l’accesso all’esperienza on-demand dei contratti freelance)
Partner e fornitori
Freelance
L’ossessione di Amazon e di moltissime altre aziende per la “cultura” è un terreno minato. Il rischio che la “cultura” si trasformi nell’ennesimo strumento di comando e controllo o di distrazione è concreto. Ma per parlare di questo c’è bisogno di almeno un altro numero della newsletter.