“I am large, I contain multitudes.”
- Walt Whitman, Leaves of Grass
Una volta bastava una riga.
Due, tre parole al massimo: Marketing Manager, UX Designer, Chief Technology Officer.
Era il tuo ruolo. Ma era anche la tua identità. E definiva il tuo valore.
Nel mondo ordinato del lavoro industriale e post-industriale, il titolo professionale funzionava come una scorciatoia: ti diceva chi eri, cosa facevi, quanto valevi. Costruiva un ponte tra le aspettative del mercato e la tua capacità di soddisfarle.
Oggi quella riga non basta più. Anzi, inganna.
Da una parte, l’identità professionale è diventata fluida, molteplice, sfaccettata. Dall’altra, continuiamo a rappresentarla con strumenti progettati per un mondo lineare, gerarchico, statico.
I job title ci offrono ancora una parvenza di controllo. Ci danno accesso a ruoli, stipendi, status. Ma sono anche dispositivi di semplificazione, e come ogni categoria rigida, finiscono per nascondere molto più di quanto rivelino.
LinkedIn ti chiede un’etichetta e ti restituisce visibilità. Ma non sa raccontare un’identità. Se mentre fai quello che c’è scritto nel title gestisci anche una community, scrivi una newsletter, lanci un progetto, fai mentorship, collabori a una startup o sperimenti un nuovo linguaggio, tutto questo semplicemente… scompare. Non rientra nella narrazione ufficiale.
Eppure spesso il valore si nasconde proprio in ciò che sta ai margini.
Polywork: la piattaforma arrivata troppo presto
Nel 2020 un ex AngelList di nome Peter Johnston fonda Polywork, una piattaforma pensata per riflettere la complessità del lavoro contemporaneo.
Non ti chiedeva chi sei, ma cosa fai, con chi, perché, e in che modo. L’interfaccia era elegante, la missione chiarissima: liberare l’identità professionale dalla gabbia del titolo.
Polywork attirò rapidamente talenti da tutto il mondo e riuscì a convincere Andreessen Horowitz a investire milioni nel progetto. Perché intercettava una verità culturale profonda: le persone sono più dei loro titoli. E le organizzazioni, per prosperare in un mondo in costante trasformazione, hanno bisogno di lavorare con persone tridimensionali.
“You may be a software engineer, but also an open source contributor, a podcaster, a mentor, a musician. Polywork was designed to reflect the multifaceted nature of what we do as people.”
– a16z quando ha investito in Polywork
Sembrava l’alternativa definitiva a LinkedIn. Più autentica, più porosa, più adatta a un lavoro fatto di progetti, connessioni e traiettorie non lineari. Poi, nel marzo 2024, Polywork chiude.
Ma il fallimento non significa che la visione era sbagliata, anzi. Semmai erano sbagliati i tempi, perché il mercato - e più in generale la cultura - non era pronto ad accogliere una piattaforma che parlava la lingua del futuro.
Il CV mentale
La nostra mente ha ancora la forma del curriculum. Anche se non lo aggiorniamo, ce l’abbiamo sempre in testa, è il modo in cui pensiamo a noi stessi, il riflesso condizionato con cui ci presentiamo al mondo.
Ogni volta che diciamo “sono un X”, ci stiamo adeguando al formato. Ogni volta che scegliamo un’opportunità sulla base del titolo e non del senso, ci stiamo auto-limitando.
Finché continueremo a identificarci in una sola etichetta, e a lasciare che siano gli altri a definirla per noi, non potremo mai esprimere davvero il nostro potenziale.
Ed è qui che entra in gioco l’AI.
L’identità post-AI: dalla funzione al significato
L’intelligenza artificiale ha messo in crisi la centralità dell’esecuzione. Scrivere, progettare, analizzare, montare: tutto può essere automatizzato o almeno accelerato.
Le competenze tecniche restano importanti, ma perdono il loro potere distintivo. Il valore si sposta altrove: nella visione, nella capacità di orientare, nell’intenzione che guida le scelte.
Nel mondo post-AI non basta più dire “cosa fai”. Serve sapere perché lo fai così, perché solo tu puoi farlo così. Serve raccontare una postura, non una funzione. Un insieme di attitudini, non una mansione. Un’identità che non si definisce con un’etichetta, ma con una costellazione.
Per questo, in Cosmico abbiamo sviluppato STARS: un framework per costruire una nuova narrazione professionale.
Al posto del titolo, un sistema di attitudini, preferenze, scelte.
Al posto del percorso lineare, una mappa.
Stiamo testando il framework con un po’ di amici e i risultati sono incredibili.
STARS: il framework per una nuova identità professionale
STARS è uno strumento per orientarsi nel lavoro senza più fare affidamento sulle vecchie coordinate. Serve a riscoprire ciò che ci guida, ciò che ci riesce, ciò che ci nutre, ciò che ci definisce. Serve a raccontarsi in modo autentico, situato, generativo.
SPARKS – What fuels your curiosity?
Il punto di partenza non è ciò che sai fare, ma ciò che ti interessa davvero. Le tue sparks sono le domande che ti muovono, le sfide che ti attraggono, le esperienze che ti energizzano anche quando nessuno ti paga per farle. Sono il tuo desiderio profondo, non il tuo piano di carriera. Riconoscerle è fondamentale per non perdere la rotta anche quando tutto cambia.
TALENTS – What are you great at?
Il talento non è una competenza che si acquisisce. È un’abilità naturale, spesso invisibile a chi la possiede ma chiarissima a chi ti osserva. È ciò che fai con facilità quando gli altri fanno fatica. Nel contesto post-AI, dove tutto ciò che è codificabile è replicabile, il talento umano diventa un vantaggio non sostituibile. Conoscerlo, nominarlo, valorizzarlo è un atto di consapevolezza e differenziazione.
ASSETS – What shaped your journey?
Siamo il risultato delle nostre esperienze, ma anche delle persone che ci hanno formato, dei luoghi che ci hanno ispirato, delle letture, delle crisi, dei progetti mai finiti. Gli assets sono le tracce che ci hanno trasformato. Spesso non fanno curriculum, ma fanno la differenza. Danno spessore, profondità, contesto. Riconoscerli significa smettere di pensarsi solo come “skillati” e iniziare a vedersi come persone protagoniste di traiettorie uniche.
RITUALS – How do you get things done?
Il lavoro non è mai solo cosa fai, ma come lo fai. I rituals sono i tuoi modi di stare nei progetti, di collaborare, di prendere decisioni. Sono il tuo ritmo, la tua postura, il tuo approccio. Sono il contrario della routine: un’abitudine che non subisci, ma ricerchi e costruisci. Saperli riconoscere ti aiuta a scegliere ambienti compatibili e a lavorare meglio con gli altri. Ti permette di essere efficace non perché imiti un metodo altrui, ma perché segui il tuo.
SUCCESS – What defines your impact?
Cos’è, per te, una cosa ben fatta? Cosa ti fa sentire di aver speso bene il tuo tempo? Il successo non è una metrica oggettiva: è una bussola personale. Può essere denaro, influenza, riconoscimento, trasformazione, gratitudine. L’importante è averne consapevolezza. Sapere qual è il tuo parametro significa fare scelte più allineate, evitare l’ansia da prestazione e progettare traiettorie in cui il lavoro contribuisce a dare forma a ciò che vuoi essere.
STARS non è un esercizio di personal branding, ma un processo di introspezione attiva. Serve a costruire un’identità professionale che rappresenta una direzione. Un modo per scegliere meglio, collaborare meglio, presentarsi meglio. Un modo per non dipendere più da linguaggi che non ci rappresentano.
Le nuove regole del lavoro
Per te
Smetti di definirti per titoli. Inizia a costruire un’identità viva, incarnata, autentica. Usa STARS per capire dove vai, cosa porti, cosa cerchi. Non farti trovare “adatto”, fatti trovare interessante. In un mercato in cui tutto cambia velocemente, ciò che resta è il tuo modo di vedere e agire il mondo.
Per le organizzazioni
Assumere per job title è come scegliere un vino dall’etichetta. Serve un cambio di paradigma. Bisogna imparare a leggere le persone nella loro complessità, nei loro percorsi, nei loro rituali. Solo così si costruiscono team realmente complementari, motivati e resilienti.
Polywork è stata una promessa non mantenuta, ma anche un’intuizione che non smetterà di interrogarci. Quando la cultura sarà pronta, quando i recruiter saranno pronti, quando anche noi smetteremo di nasconderci dietro tre parole, ci accorgeremo che quello era il futuro. E non basterà più un titolo per raccontarlo. Ci vorrà un’intera costellazione.
Qualche tempo fa durante un colloquio finale di selezione il mega direttore hr si complimentò con me per le passioni e le attività in cui ero impegnata che mi avevano permesso di sviluppare capacità e competenze oltre la mia esperienza professionale ma mi disse che se volevo ambire a quel posto manageriale dovevo lasciarle e dedicarmi solo a quello. Chiaramente ho rinunciato, proprio per continuare a nutrirmi e crescere. Per questo leggere di STAR mi incuriosice e stimola un sacco: mi occupo di sviluppo manageriale e penso che ce ne sia proprio bisogno, per le persone e per i contesti organizzativi. Quindi resto in attesa di nuovi aggiornamenti!
Aspetto con grande interesse Stars!