Personalmente credo anche che Il design si evolva insieme ai suoi processi: tempo e strumenti non sono semplici mezzi, ma fattori che modellano il pensiero e l’approccio progettuale (e creativo). Con l’accelerazione e la democratizzazione su scala, il loro ruolo si trasforma.
Spesso mi chiedo, se il design si è sempre nutrito del su processo, cosa accade quando i processi si trasformano radicalmente?
Sarà interessante osservare l’impatto di questa evoluzione sulla qualità e sull’originalità dei risultati.
Rilancio con un'ulteriore domanda: se il design è esso stesso metodo e processo, che cosa chiameremo design quando il processo non sarà più un viaggio, ma una scorciatoia?
E cosa dovremo “progettare” noi, se gli strumenti disegnano per conto nostro?
Forse, paradossalmente, torneremo a progettare proprio i processi — rituali, spazi, vincoli, condizioni — per riscoprire un gesto autentico, umano, in un'era di generazione infinita.
Ci riaggiorniamo lunedì su Futuri Preferibili, scriverò di questo!
Le tue riflessioni sono davvero stimolanti e mi hanno dato una nuova prospettiva sul futuro del lavoro e sull'uso dell'intelligenza artificiale. Apprezzo molto come hai spiegato il cambiamento in corso e l'importanza di evolversi con questi strumenti. Non vedo l'ora di applicare queste idee nel mio percorso professionale.
Temo che però la commoditizzazione (o forse commonizzazione) della capacità di azione impatti così tanto il framework della percezione di valore che il pericolo è ragionare con categorie obsolete.
Qualche giorno fa in una mia newsletter scrivevo
"the conventional playbook—based on differentiation through branding, network effects, and scale—presumes that AI will merely augment existing market structures rather than disrupt them. If AI agents can instantly compare, switch, optimize, and integrate across services in real-time (like Anthropic’s Model Context Protocol), this weakens the power of network effects, lock-in strategies, and embedded integrations for defensibility."
Un ragionamento simile penso si possa estendere all'effetto che questa commonizzazione avrà su qualsiasi difendibilità e differenziabilità. In questo senso secondo me corriamo il rischio di sottostimare l'effetto dei recenti cambiamenti dovuti all'automazione e all'intelligenza artificiale generativa sull'intera catena del valore (come il brand) e non solo sugli strati più bassi, ovvero quelli del tempo-lavoro.
Grazie del tuo commento Simone! Per risponderti ho deciso che scriverò la prossima newsletter di Futuri Preferibili su questo: "Il valore nell'era Post AI". Ci riaggiorniamo lunedì :)
Ottima analisi @Matteo.
Personalmente credo anche che Il design si evolva insieme ai suoi processi: tempo e strumenti non sono semplici mezzi, ma fattori che modellano il pensiero e l’approccio progettuale (e creativo). Con l’accelerazione e la democratizzazione su scala, il loro ruolo si trasforma.
Spesso mi chiedo, se il design si è sempre nutrito del su processo, cosa accade quando i processi si trasformano radicalmente?
Sarà interessante osservare l’impatto di questa evoluzione sulla qualità e sull’originalità dei risultati.
Grazie Frank!
Rilancio con un'ulteriore domanda: se il design è esso stesso metodo e processo, che cosa chiameremo design quando il processo non sarà più un viaggio, ma una scorciatoia?
E cosa dovremo “progettare” noi, se gli strumenti disegnano per conto nostro?
Forse, paradossalmente, torneremo a progettare proprio i processi — rituali, spazi, vincoli, condizioni — per riscoprire un gesto autentico, umano, in un'era di generazione infinita.
Ci riaggiorniamo lunedì su Futuri Preferibili, scriverò di questo!
Vado a dirlo a Paolo 😂
Grazie mille per questo articolo illuminante!
Le tue riflessioni sono davvero stimolanti e mi hanno dato una nuova prospettiva sul futuro del lavoro e sull'uso dell'intelligenza artificiale. Apprezzo molto come hai spiegato il cambiamento in corso e l'importanza di evolversi con questi strumenti. Non vedo l'ora di applicare queste idee nel mio percorso professionale.
Grazie Ludovica!
Temo che però la commoditizzazione (o forse commonizzazione) della capacità di azione impatti così tanto il framework della percezione di valore che il pericolo è ragionare con categorie obsolete.
Qualche giorno fa in una mia newsletter scrivevo
"the conventional playbook—based on differentiation through branding, network effects, and scale—presumes that AI will merely augment existing market structures rather than disrupt them. If AI agents can instantly compare, switch, optimize, and integrate across services in real-time (like Anthropic’s Model Context Protocol), this weakens the power of network effects, lock-in strategies, and embedded integrations for defensibility."
Un ragionamento simile penso si possa estendere all'effetto che questa commonizzazione avrà su qualsiasi difendibilità e differenziabilità. In questo senso secondo me corriamo il rischio di sottostimare l'effetto dei recenti cambiamenti dovuti all'automazione e all'intelligenza artificiale generativa sull'intera catena del valore (come il brand) e non solo sugli strati più bassi, ovvero quelli del tempo-lavoro.
Grazie del tuo commento Simone! Per risponderti ho deciso che scriverò la prossima newsletter di Futuri Preferibili su questo: "Il valore nell'era Post AI". Ci riaggiorniamo lunedì :)
Sarà un lungo weekend 😅