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Il 24 febbraio alle ore 18.30 registriamo una nuova puntata del podcast Work After con un evento live, aperto al pubblico. Con Marcello Ascani, youtuber e imprenditore, parlerò di Work After Gen Z: come lavora la generazione Z? Cosa vuole fare, cosa chiede al lavoro di diverso rispetto alle generazioni precedenti?
Saremo da Propaganda Alimentare a Milano e dopo la registrazione ci sarà una cena riservata al pubblico del podcast, in cui potremo conoscerci e continuare a chiacchierare. Se vuoi partecipare prenota subito il tuo posto: ce ne sono solo 30 disponibili. Spero di vederti!
Pare che il primo curriculum vitae lo abbia scritto Leonardo da Vinci, quando nel 1482 ha inviato la sua candidatura al Duca di Milano, Ludovico il Moro, per un lavoro da ingegnere militare.
Uno dei più grandi geni della storia dell’umanità, che si presenta scrivendo: “so come tirare fuori l’acqua dalle trincee durante un assedio, e costruire scale e ponti”. Pittura e scultura compaiono solo alla fine, come occupazioni secondarie.
Avresti saputo riconoscere il suo talento da questa presentazione?
Se il CV non funzionava benissimo per Leonardo, figuriamoci per noi, più di 500 anni dopo.
Senza offesa, Leo
Il CV ha dei limiti che sono noti a tutti da tempo:
Comprime in modo schematico informazioni complesse.
Dà troppo rilievo ai titoli di studio e alle esperienze accumulate.
Non permette di valutare competenze, capacità reali, e risultati ottenuti.
Ha un problema di validazione: come facciamo a capire se quello che c’è scritto è vero?
Ha un formato uguale per qualunque professione, che non consente personalizzazione.
È un documento statico e rigido, in un mondo del lavoro iper-dinamico.
Probabilmente nel 1482 presentarsi con una lista di esperienze e competenze era una mossa geniale. Oggi però il CV è sempre di più un ostacolo alla creazione di un buon match tra aziende e persone.
L’invasione dei CV zombie
Come se non bastasse, ci si mette anche l’AI.
Sempre di più chi cerca lavoro usa strumenti per automatizzare la scrittura dei curricula, adattarli alle richieste del recruiter, inviare centinaia di application in pochissimo tempo.
Dall’altro lato, le aziende non riescono a gestire la valanga di candidature, e affidano scrematura e selezione ad altri strumenti di AI. Usandoli, già che ci sono, anche per farsi scrivere le offerte di lavoro.
Lo scenario quindi è un'invasione di CV zombie, senza vita, scritti dalle macchine per le macchine che li leggono. E un diluvio di job posting che aumenta il rumore di fondo e rende ancora più caotici e dispersivi i processi di selezione.
LinkedOut
Il CV quindi va ripensato, e dobbiamo inventarci uno strumento diverso.
Quando è nato, LinkedIn sembrava essere quello strumento: un network dinamico al posto di un CV statico; uno spazio di conversazione professionale al posto di una lista di esperienze.
Col passare del tempo però si è capito che LinkedIn non aveva fatto altro che industrializzare il CV, portandolo su larghissima scala per rivenderlo alle persone e alle aziende. LinkedIn non è il post-CV, ma un loop infinito di CV.
Nessuno dei problemi del curriculum tradizionale è stato risolto, e la domanda fondamentale è rimasta senza risposta: come faccio a sapere che sai fare davvero quello che dici di saper fare?
Ok le competenze, ma quali?
Lo scorso ottobre ho partecipato a Parigi a una grande conferenza globale sul futuro dell’HR. Lì la risposta onnipresente a questa domanda era l’evoluzione verso la skill based organization. Con il supporto della tecnologia, mappare le competenze interne, individuare quelle mancanti, e trovare le corrispondenze con quelle in entrata.
E quindi un proliferare di strumenti a supporto: skill mapping, skill validation, skill graphs, talent blockchain per la costruzione e la verifica di “wallet” professionali.
Ma l’impressione è che tutto questo sforzo continua a dirci la stessa cosa: questo tizio fiorentino sa costruire una scala. Ma non ci dice che potrebbe inventare l’elicottero e dipingere la Vergine delle Rocce.
Da cosa fai a chi sei
Se da un elenco di esperienze il CV diventa un elenco di competenze tecniche, non avremo risolto il problema di vedere e comprendere la persona che sta dietro il documento.
Per me lo strumento del futuro dovrà avere delle caratteristiche diverse.
Da cosa sai fare a → cosa sai e ti piace fare
Nella furia di mappare competenze, abbiamo perso di vista la motivazione: se una persona fa quello che vuole fare davvero, performa di più e lavora meglio. L'assessment di ciò che ci piace diventerà fondamentale per trasformare il CV in uno strumento di orientamento, che sappia guidarci attraverso le evoluzioni, gli scarti, i cambiamenti di percorso che sempre di più ci verranno richiesti.
Da elenco delle esperienze → a portfolio
Non voglio sapere dove hai studiato e dove hai lavorato: voglio vedere quello che hai fatto. Voglio avere un dettaglio dei progetti realizzati e dei risultati raggiunti, e non solo di quelli professionali, anche di quelli personali e laterali. Puoi aver lavorato per un’azienda prestigiosa e passato le giornate e fare fotocopie; e puoi aver fatto crescere esponenzialmente una piccola startup o il tuo canale Youtube.
Da profilo personale a → network
Nessuna persona è un’isola. Le persone che abbiamo incontrato e le figure a cui ci ispiriamo dicono molto di noi. È importante sapere con chi abbiamo lavorato e quali mentor abbiamo avuto. È rilevante sapere a chi abbiamo fatto da mentor, e cosa fanno e dove sono ora le persone che abbiamo formato. Dalla mappa dei nostri incontri spesso esce un profilo più veritiero di quello che esce da un selfie.
Da identikit professionale a → identikit umano
Per capire che persone siamo a lavoro, è molto importante sapere cosa facciamo quando non stiamo lavorando. Che cosa leggiamo, che cosa guardiamo, cosa nutre la nostra ispirazione. Cosa facciamo nel tempo libero, che passioni abbiamo, che sport pratichiamo, che hobby abbiamo. Ricordate: Leonardo era un ingegnere con l’hobby della pittura.
Oggi la struttura del CV influenza il nostro percorso: scegliamo scuole, esperienze formative, occasioni lavorative per riempire le caselle del documento.
Il nuovo strumento che dobbiamo inventare non servirà solo a favorire il matching professionale, ma contribuirà a cambiare i percorsi delle persone. Cambierà la natura delle nostre scelte e la nostra direzione di ricerca ed esplorazione.
Liberarci dal CV non ci aiuta a trovare un posto di lavoro migliore, ci aiuta a migliorare e a rendere più significativo tutto quello che viene prima della ricerca del lavoro.
In pratica
Per te
Comincia subito a raccontarti in modo diverso. La cosa più facile che puoi fare è cominciare a scrivere online, per condividere pensieri e riflessioni sul tuo ambito di lavoro. Puoi usare i social, un blog, una newsletter. È facile, è gratuito, e non ci sono barriere all’ingresso.
Non si tratta di fare personal branding, ma di condividere idee, imparare a comunicare, partecipare alle conversazione. Non devi avere per forza un pubblico ampio, ma scrivere e riflettere ti renderà credibile agli occhi di chi si imbatterà nel tuo lavoro.
E poi scrivere e riflettere servirà soprattutto a te: mentre racconti il tuo lavoro scopri anche cose nuove, ti interroghi su cosa potresti fare, cosa ti serve imparare, che direzione potresti prendere. Il CV parla del passato, mentre il nuovo racconto del lavoro è un percorso aperto di esplorazione, scoperta e orientamento.
Per la tua organizzazione
Ripensa il sourcing basandoti su criteri nuovi. E comincia guardandoti dentro: per sapere con quali persone lavorare, cerca di conoscere meglio quelle con cui lavori già. Raccogli più dati possibile su di loro: passioni personali, attitudini, inclinazioni, interessi.
A questo punto puoi cominciare a individuare dei pattern. Capire quali sono gli elementi che rendono una persona adatta a lavorare con te. Mettere in relazione attitudini e inclinazioni personali con ciò che le persone sono brave a fare. Oppure constatare che c’è troppa uniformità culturale, e che ti serve qualcosa di diverso.
La tecnologia può aiutarti a individuare i pattern e indicarti dei criteri che ti orientano nella scelta. Può darti una percentuale di “compatibilità” per ogni candidato. E può suggerirti domande da fare ai candidati per verificare e approfondire alcune cose. Dopodiché subentrerà di nuovo la componente umana, che dovrà valutare tutto ciò che sfugge alla tecnologia. Ma a quel punto sarà facile, perché avrà a disposizione non un CV, ma uno strumento che permette di vedere una personalità in tutta la profondità della sua storia e delle sue capacità.