Ogni sistema rispecchia la struttura comunicativa dell’organizzazione che lo ha creato.
È il 1968 quando Melvin Conway formula quella che sarebbe diventata la Legge di Conway, un principio destinato a influenzare mezzo secolo di progettazione organizzativa e tecnologica.
Detta in modo più semplice: gli strumenti che creiamo rispecchiano il modo in cui organizziamo il lavoro.
È il motivo per cui molti dei software che utilizziamo ogni giorno non sembrano progettati per facilitare il lavoro, ma per replicarne in forma digitale i limiti, i colli di bottiglia, le fratture.
Per molto tempo abbiamo creduto che fosse sufficiente cambiare gli strumenti per cambiare il modo di lavorare. Ma ora che i tool sono ovunque, che ogni funzione aziendale è impacchettata in un’interfaccia e ogni processo è tracciato da un flusso automatizzato, diventa evidente che qualcosa si è incrinato: non siamo più noi a costruire i software, sono i software che stanno ricostruendo noi.
Il software non riflette più l’organizzazione. La riscrive.
Prima, nel mondo di Conway, gli strumenti erano la conseguenza dell’organizzazione. Derivavano dalla visione e dalla cultura di un’azienda.
Oggi, l’organizzazione è la conseguenza degli strumenti, e cultura e visione sono scomparse. Ciò che prima era una cassetta degli attrezzi è diventato il progetto architettonico.
Il risultato è che la comunicazione tra reparti diventa difficile, i processi sono auto-referenziali, i professionisti sono ridotti a nodi operativi di sistemi che non governano più. Il linguaggio del lavoro si è trasformato: da una narrazione condivisa a una sequenza di comandi.
Nel tentativo di semplificare abbiamo disintegrato il contesto. Abbiamo scambiato l’efficienza per chiarezza, la velocità per comprensione, la scalabilità per collaborazione.
E così, ciò che un tempo era Software as a Service è diventato, nel concreto, Silos as a Service.
SaaS non è più una soluzione. È il problema.
Ogni nuovo tool che adottiamo ci promette maggiore produttività, ma spesso riduce il nostro spazio di manovra. Ogni nuova piattaforma, invece di creare connessioni, impone il proprio linguaggio, la propria logica e i propri confini. Così l’organizzazione si frantuma in tanti piccoli mondi autosufficienti, dove ognuno ottimizza il proprio pezzo ignorando l’effetto complessivo.
Non è solo una questione tecnica: un’organizzazione che vive di silos rinuncia alla complessità per paura di affrontarla. Preferisce controllare il dato, spesso perdendo di vista il significato. Delega al software la responsabilità di decidere come si lavora, lasciando agli umani l’onere di eseguire.
Lo so perché ci sono passato anche io. Chi lavora con me sa che sto facendo di tutto per ridurre l’utilizzo di software a due, massimo tre. Ho detto addio a Slack, a Notion, a Miro, e a una miriade di altri strumenti che avevano iniziato a dettare tempi, modi e linguaggi del mio lavoro. Non volevo più essere loro vittima. Non volevo più adattarmi al software. Volevo tornare a decidere io che forma dare al mio lavoro.
Non restare chiusa qui, AI
Quando Satya Nadella parla di “fine del SaaS” non decreta la morte del software, ma segnala l’urgenza di un cambio di paradigma. Il punto non è smettere di usare piattaforme, ma smettere di costruire interi modelli organizzativi attorno a tecnologie nate per automatizzare processi, non per generarne di nuovi.
L’intelligenza artificiale, per esprimere il proprio potenziale trasformativo, ha bisogno di attraversare i confini, senza rimbalzare contro le pareti invisibili dei compartimenti stagni. Gli agenti AI non sono strumenti da “integrare” nei flussi esistenti, ma entità che esigono una nuova grammatica del lavoro: meno transazionale, più esplorativa; meno centrata sulle funzioni, più aperta alle interazioni.
L’AI non può aggiungersi a un sistema chiuso: può solo sostituirlo, o liberarlo.
Più atomi, meno automi
C’è un paradosso in tutto questo. Più digitalizziamo il lavoro, più ci rendiamo conto che ciò che ci serve non è la tecnologia, ma l’umano. Non nel senso sentimentale del termine, ma nella sua funzione più nobile: comprendere, orientare, collegare ciò che è frammentato.
Lavorare non significa solo produrre output, ma costruire significato. E il significato non si automatizza.
Parlare di “ritorno agli atomi” non vuol dire rimpiangere l’ufficio o i meeting in presenza, ma riconoscere che l’unico antidoto alla deriva meccanicistica del lavoro è la densità relazionale.
Non possiamo continuare a organizzare le aziende come se fossero catene di montaggio della conoscenza. Se vogliamo che l’AI diventi nostra alleata, dobbiamo creare spazi dove le persone possano ancora mettersi in discussione, prendere decisioni, farsi delle domande. In una parola: pensare.
Le nuove regole del lavoro
Per chi lavora
Non basta più saper usare gli strumenti: bisogna capire che forma di lavoro implicano, e decidere se vogliamo accettarla. Se ti limiti a eseguire ciò che ti permette di fare una piattaforma, stai già cedendo il tuo ruolo a un’intelligenza artificiale che lo farà, prima o poi, meglio di te. Non è una questione di competenze tecniche, ma di responsabilità.
Impara a leggere il sistema, non solo a interagirci. Interroga le logiche che lo governano. Diventa un architetto di flussi, non un operaio di task. Coltiva la tua capacità di creare contesto: chi connette i puntini, oggi, è più prezioso di chi li disegna.
Per le organizzazioni
Non serve aggiungere l’AI a un’organizzazione che non sa ancora perché fa quello che fa. Prima di cercare nuovi strumenti, serve smantellare le rigidità invisibili che impediscono al potenziale umano di emergere. Favorisci le contaminazioni, investi nei “ponti” più che nei “pilastri”, e chiediti cosa serve davvero per generare comprensione, non solo tracciabilità.
La vera innovazione non sta nell’adozione di una tecnologia, ma nella capacità di riscrivere le premesse su cui si basano le nostre decisioni quotidiane. La fine del SaaS non è la fine del digitale. È l’inizio di un modo nuovo di pensare l’organizzazione: meno centrato sul controllo, più aperto alle relazioni e alle possibilità.
Cosa mi ero persa! Grazie, riflessione importante.
Ciao Matteo, bellissima riflessione, però non ho capito una cosa, senza SaaS come si fa? Come ti sei organizzato e come funziona ora il tuo lavoro?