Non c’è mai stato momento migliore per avere un problema.
Per sentirsi bloccati, sopraffatti, impazienti,
per non sapere più che strada prendere,
per sentirsi fuori posto,
per essere senza forze.Non c’è mai stato momento migliore per ammalarsi.
Basta vedere i progressi della ricerca medica.Per essere senza titoli e qualifiche, senza mezzi,
per non capirci nulla, per sentirsi piccoli,
per essere irrequieti.Davvero non c’è mai stato momento migliore.
Continua a creare.
Continua a cercare.
Continua a imparare.
Continua a programmare.
Continua a pensare.
Abbiamo sempre pensato che, sul lavoro, i problemi fossero ostacoli da evitare, o da eliminare più in fretta possibile. Ora invece arriva il nuovo spot di Anthropic e ci dice che i problemi sono la materia prima più preziosa del lavoro contemporaneo. E che individuarli e risolverli richiede qualità profondamente umane.
Del resto, Claude o ChatGPT sono lì a dimostrarlo. Per ottenere qualcosa di utile dall’AI devi usare pazienza, tolleranza al fallimento, curiosità: tutte qualità che il lavoro tradizionale ti aveva fatto dimenticare. Se apri un tool e gli chiedi di scriverti una strategia di marketing, ti darà una risposta così generica da farti pensare: l’AI non serve a niente.
L’AI non sta selezionando in base alle competenze tecniche, ma in base all’attitudine e al mindset.
C’è chi abbandona Claude al primo tentativo, e chi invece prende le risposte stupide e inutili e le identifica come un problema da risolvere. Le decostruisce, scompone il problema in pezzi più piccoli e comincia a risolverli uno per uno. Trasforma il fallimento in progetto, e il progetto in apprendimento. L’AI è estremamente entusiasmante per le persone che trovano nelle sfide il modo di realizzarsi; per tutti gli altri è solo un’enorme frustrazione.
Che cosa rende diversi gli uni dagli altri?
Siamo diventati macchine
Il sistema educativo e lavorativo ci ha addestrato per decenni a essere esecutori prevedibili: seguire procedure, evitare errori, non deviare dal protocollo.
Nasciamo con l’istinto di sperimentare e impariamo attraverso gli errori. A un certo punto della nostra vita, però, cominciamo a imparare dalle istruzioni che riceviamo dagli altri, i genitori e la scuola. Il sistema intorno a noi fa di tutto per impedirci di sbagliare, secondo l’idea dominante di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Così, da piccoli esploratori del mondo ci trasformiamo gradualmente in esecutori efficienti che smettono di fare domande. Diventiamo, cioè, una specie di intelligenza artificiale biologica ottimizzata per la conformità.
Ora arriva l’AI, l’intelligenza davvero artificiale, e scopri che per collaborare con lei devi recuperare tutte le qualità che il sistema ti aveva fatto sopprimere. Non tornare indietro a un’idea nostalgica di umanità o al piccolo esploratore che eri, ma fare un upgrade: scoprire una nuova forma di umanità e diventare una persona adulta curiosa e creativa.
Storicamente solo l’artista, lo scienziato, l’inventore potevano restare curiosi da adulti. Gli altri dovevano scegliere: fare i creativi e condannarsi a una situazione economicamente precaria, oppure adeguarsi al sistema del lavoro efficiente per garantirsi stipendio e stabilità. L’AI rompe lo schema: essere creativi e curiosi non è più un lusso riservato a pochi. È un requisito per rimanere economicamente rilevanti.
I creativi e i curiosi vedono nei problemi la materia prima per la loro realizzazione: più problemi complessi e impattanti riescono ad affrontare, più valore generano per loro stessi e per altri.
Il sistema ci ha addestrati a eseguire task: unità di lavoro discrete, assegnate da altri, con procedure definite e risultati misurabili. Rispondi alle email, aggiorna il foglio di calcolo, partecipa al meeting, completa il report. I task si accumulano, si spuntano dalla lista, si ripetono.
I problemi sono sfide che emergono quando osservi il mondo con occhi curiosi e noti che qualcosa non funziona come dovrebbe. I problemi non te li assegna nessuno, li scegli tu; non hanno procedure predefinite, le devi inventare; non hanno risultati garantiti, devi sperimentare fino a trovarli.
I problemi sono la leva che ci permette di crescere e contribuire a trasformare il mondo.
Benvenuti nella Problem Economy
Ogni epoca economica prende il nome da ciò che è scarso e prezioso: conoscenza, attenzione, informazione. Oggi la risorsa scarsa è la capacità di identificare e affrontare i problemi giusti.
Sam Altman, CEO di OpenAI, nel suo ultimo post descrive un futuro in cui l’AI rende possibile ciò che sembrava irrisolvibile. Scrive:
“Forse con 10 gigawatt di capacità di calcolo l’AI riuscirà a capire come curare il cancro. Oppure con 10 gigawatt potrà offrire tutoraggio personalizzato a ogni studente sulla Terra. Se la capacità di calcolo è limitata, dovremo scegliere a cosa dare priorità. Nessuno vuole trovarsi a fare quella scelta, quindi costruiamo di più.”
Per Altman i problemi hanno un prezzo che non è più metaforico, ma misurabile in gigawatt di calcolo. L’energia diventa la valuta che traduce le grandi sfide in scelte di investimento.
Altman propone un piano industriale: una “fabbrica” capace di generare un gigawatt di nuova infrastruttura AI ogni settimana, con una scala che richiede innovazione su tutto, dai chip all’energia, dagli edifici alla robotica. Lo definisce il progetto infrastrutturale più importante di sempre, con l’ambizione di riportare negli Stati Uniti un ritmo di costruzione che oggi appartiene ad altri Paesi.
Ma la prospettiva ingegneristica e infrastrutturale nasconde una questione politica e culturale: se la capacità computazionale resta limitata, non potremo affrontare tutti i problemi insieme. Qualcuno dovrà decidere quali vengono prima.
È così che nasce la Problem Economy: il valore non è più nell’eseguire soluzioni, ma nello scegliere i problemi giusti. La competizione si sposta dalla velocità o dall’efficienza all’intuizione: vedere ciò che gli altri non vedono, distinguere l’urgente dal marginale.
Per la maggior parte delle persone questo è difficile: i problemi restano invisibili, sfocati, confusi con il rumore quotidiano. Riuscire a vederli è il primo passo; capire quali meritano energia, tempo e capitale è il secondo.
Chi riesce a guardare il mondo con occhi diversi scopre che i problemi sono ovunque. Ogni volta che un prodotto ti frustra, ogni volta che un processo rallenta invece di accelerare, ogni volta che ti chiedi “perché funziona così?” stai esplorando un’opportunità. Il problema è il punto di partenza per immaginare un mondo alternativo, non un muro che ti blocca.
CSI: Consapevolezza, Strumenti, Intraprendenza
Per muoversi dentro la Problem Economy servono tre leve: consapevolezza, strumenti, intraprendenza.
Consapevolezza
È la capacità di vedere oltre l’ovvio, di riconoscere che ciò che appare naturale è in realtà il risultato di una scelta precisa che qualcun altro ha preso. Steve Jobs diceva:
Tutto ciò che ti circonda e che chiami vita è stato inventato da persone non più intelligenti di te, e tu puoi cambiarlo, puoi influenzarlo, puoi costruire le tue cose che altri useranno.
Quando realizzi che i sistemi non sono leggi di natura ma costruzioni umane, inizi a farti domande, a osservare quello che non va, a prendere nota. Quando vedi con chiarezza tutti i problemi intorno a te, hai immediatamente anche una visione del mondo che vorresti, del futuro che vorresti vedere realizzato. E quando hai quella visione puoi anche fare un piano per arrivarci.
Strumenti
La sola osservazione non basta, servono mezzi per trasformare problemi in progetti. L’AI oggi è lo strumento principale e la sua utilità non è, al contrario di quello che molti pensano, nel delegarle il tuo lavoro, piuttosto nell’amplificare la tua capacità di ragionamento. Con l’AI puoi scomporre un problema complesso, esplorare alternative, generare prototipi rapidi.
Intraprendenza
È ciò che distingue chi osserva da chi agisce. Vedere problemi e avere strumenti non basta, serve la decisione di muoversi. Intraprendenza significa non attendere permessi o momenti ideali: vuol dire iniziare anche con risorse limitate, imparare mentre costruisci, trattare l’errore come informazione utile. Oggi sperimentare è meno costoso che in qualunque altra epoca: creare un prototipo o testare un’ipotesi richiede poco tempo e denaro. Non sperimentare è diventato più rischioso che provare.
La valuta nella Problem Economy non è la velocità né l’efficienza. È l’ampiezza del problema che decidi di affrontare, l’impatto che ha sulla vita delle persone, la portata del cambiamento che può generare.
Per questo oggi conviene avere un problema. Mai prima d’ora i mezzi per esplorarlo e trasformarlo in soluzione sono stati così accessibili.
ciao Matteo, ti leggo sempre con molto coinvolgimento rispetto a tutte le suggestioni che offri. Ti dico che ho considerato come fosse una poesia quel "Non c'è mai stato momento migliore per avere un problema.....etc etc" - L'ho stampato a caratteri grandi su A4 e l'ho affisso davanti alla mia scrivania. Mi sento esattamente come descrivi nella poesia e gli incitamenti finali mi sono di grande aiuto. Grazie. Margherita