Stephen Jimmy Donaldson è un ragazzo nato in Kansas nel 1998. Nel 2012 ha cominciato a caricare video su YouTube, cercando modi bizzarri per renderli virali.
Oggi Jimmy è conosciuto come MrBeast. Il suo canale Youtube ha oltre 320 milioni di iscritti, il che lo rende lo youtuber più seguito al mondo.
I suoi video sono progettati per agganciare l’attenzione delle persone con qualunque mezzo. Il suo primo contenuto virale è un video in cui conta fino a 100.000: dura 24 ore.
Con l’aumentare del successo i video sono diventati sempre più sensazionali: sfide estreme, imprese al limite della stupidità, competizioni assurde con in palio enormi cifre di denaro e costosissimi premi. Del tipo: 50.000 youtuber lottano per un milione di dollari; oppure Squid Game nella vita reale.
Il successo di MrBeast ha influenzato il modo di creare contenuti su YouTube. Il suo stile, il linguaggio, l’uso dei titoli urlati e delle thumbnail chiassose hanno settato uno standard. Anche perché sono una macchina quasi perfetta di sfruttamento delle dinamiche dell’algoritmo.
Ora MrBeast è diventato una vera e propria media company, che impiega più di 250 persone nell’ideazione e produzione dei video. Il brand si è esteso e include anche una catena di ristoranti, MrBeast Burge, una linea di snack, Festable, e alcune organizzazioni no profit che supportano iniziative benefiche. Alle quali però recentemente si sono affiancate accuse e denunce per maltrattamenti, abusi e condotta inappropriata.
Un piccolo stupido libro
Parlo di MrBeast perché ho letto How to succeed in MrBeast Production, il documento in cui Jimmy parla alle persone che lavorano con lui e riassume con grande chiarezza scopo, strategia, pratiche e operatività dell’azienda.
È a tutti gli effetti un documento di cultura interna, anche se non lo sembra. È un documento scarno, fatto di solo testo, scritto con uno stile super colloquiale, pieno di refusi e sgrammaticature, slang, abbreviazioni e risate scritte. Jimmy lo definisce un “silly little book”, un piccolo stupido libro, scritto “da uno youtuber e non da un autore”.
In perfetto stile MrBeast, Jimmy scrive: regalo 1000 dollari a chi lo legge e dimostra di averlo capito.
Eppure è un documento molto interessante, perché ci fa entrare dentro il laboratorio di uno dei fenomeni più rilevanti della cultura contemporanea. E ci permette di sbirciare nel cuore della creator economy.
Siamo immersi nel ketchup
Intendiamoci, il documento è interessante, ma anche spaventoso.
MrBeast afferma senza nessun pudore che il suo unico obiettivo è attirare l’attenzione del pubblico e ingraziarsi l’algoritmo. A qualunque costo, con qualunque mezzo, senza la minima preoccupazione per il valore o per il significato dei contenuti diffusi.
Per stimolare e mantenere l’attenzione vale tutto, e anzi, ogni elemento deve essere usato per amplificare la capacità dei contenuti di catturare il pubblico. Nessuno guarderà un video che si intitola Ho passato 50 ore nel mio giardino, mentre in molti cliccheranno sul titolo Ho passato 50 ore immerso nel ketchup. E ancora meglio funzionerà un titolo come Sono sopravvissuto 50 ore immerso nel ketchup.
L’uso degli elementi visivi segue la stessa logica: scritte enormi, colori brillanti, il faccione riconoscibile di MrBeast sempre in bella vista, una thumbnail capace di saltare fuori dal feed e richiamare l’attenzione anche dello scrollatore più distratto.
Scordatevi Hollywood
MrBeast è chiarissimo quando dice: il nostro obiettivo è fare i migliori video possibili per YouTube.
Non ci interessa fare video belli in assoluto, non siamo a Hollywood: siamo su YouTube. Ai suoi collaboratori MrBeast dice: è inutile guardare i film, è inutile anche guardare Netflix. Immergetevi dentro YouTube, passate lì dentro più ore possibile, e cercate di capire cosa funziona lì.
Dal punto di vista puramente commerciale non fa una piega, e anzi il ragionamento rivela una certa intelligenza strategica: scegliere, differenziarsi, avere chiaro cosa non fare è la premessa per costruire l’identità di un brand.
Dal punto di vista della cultura un’affermazione così fa impressione, perché invita le persone a cancellare ogni esperienza e ogni conoscenza diversa da quella che può essere inghiottita dalla piattaforma.
«Quasi tutti i classici di Hollywood sarebbero un fiasco su Youtube», scrive MrBeast. E sicuramente coglie un elemento fondamentale della comunicazione contemporanea.
MrBeast ci mostra il DNA dei contenuti di nuova generazione, le regole generative che ritroviamo in tutti i tipi di contenuto che funzionano su YouTube. Che si tratti di un vodcast sul calcio o di un approfondimento per nerd sulla storia del cinema, in qualunque contenuto di successo ricorrono molti degli elementi “teorizzati” da MrBeast: affermazioni roboanti, contrapposizioni e sfide, alta interattività, tormentoni che si ripetono, grafiche vistose.
Il documento infatti è interessante proprio perché mostra all’opera una cultura diversissima da quella tradizionale, non solo per quanto riguarda il tipo di contenuti creati, ma anche per come viene organizzato il lavoro per crearli.
Come lavora una generazione
Come viene organizzato il lavoro in un’azienda che nasce intorno a un creator diventato famoso contando fino a 100.000 nella sua cameretta?
Nel documento di MrBeast possiamo vedere all’opera un’organizzazione nata e cresciuta in modo del tutto spontaneo. Libera dai vincoli e dalle pratiche del management tradizionale. Organizzata seguendo unicamente l’istinto, facendo soltanto ciò che ogni volta sembra giusto fare per ottenere il miglior risultato possibile.
Proprio per questo, nella “cultura” di MrBeast vediamo nascere quello che potrebbe essere il modo di lavorare del futuro. In cui l’unico criterio organizzativo è l’efficacia, liberata da pregiudizi, abitudini, conoscenze superate.
1. Risultati, non ore di lavoro
MrBeast dice ai suoi collaboratori: non mi interessa quanto tempo passate in ufficio, o davanti al computer. L’unica cosa che mi interessa sono i risultati: fare al meglio ciò che si deve fare, lavorando non importa dove, o come, o per quante ore.
Il mio collaboratore migliore è quello che risolve in 30 minuti un problema su cui gli altri sono rimasti bloccati 5 giorni. Ciò che conta è raggiungere gli obiettivi, risolvere problemi, essere efficienti e abbastanza agili da potersi adattare alle esigenze che cambiano continuamente.
Per MrBeast l’idea di un’azienda “result-based” è del tutto naturale, ai suoi occhi è l’unico modo sensato di fare le cose. Non ci perde nemmeno troppo tempo a spiegarlo.
Per le aziende tradizionali, però, è un concetto molto più difficile da assimilare.
2. Solo giocatori di serie A
MrBeast non ama le sfumature, e su questo punto è ancora meno ambiguo del solito. Forse non sta bene dirlo, ma è innegabile che esistono professionisti di serie A, di serie B e di serie C.
Noi, dice Jimmy, vogliamo solo giocatori di serie A.
Sono le persone che si appassionano fino all’ossessione, che imparano dai propri errori, che quando serve cercano confronto e supporto. Sono persone intelligenti, che si prendono responsabilità, non cercano scuse, credono in quello che fanno - MrBeast dice “credono in YouTube”! - e lo fanno meglio di tutti.
I giocatori di serie B sono accettabili solo se sono giovani, inesperti, e mostrano di avere il potenziale per diventare A player, una volta formati.
I giocatori di serie C sono gli impiegati standard: non sono necessariamente scarsi, ma non hanno niente di eccezionale. Stanno lì, fanno quello che gli viene chiesto, portano a casa lo stipendio. Non si appassionano, non fanno di tutto per imparare, non ci tengono ad alzare l’asticella.
I C player, per MrBeast, non sono solo poco utili: sono dannosi. Vanno allontanati immediatamente. Una bella liquidazione, e troveranno un posto adatto a loro.
Fa impressione la crudezza di queste affermazioni, che però rispecchiano una tensione sempre più importante per il futuro del lavoro. Quando Netflix incoraggia la densità di talento, quando Sam Altman dice che OpenAI ha al suo interno una densità di talento senza precedenti, parlano la stessa lingua di MrBeast, dicono la stessa cosa: le aziende hanno bisogno delle energie e delle competenze migliori.
Perché in futuro sarà sempre di più il talento a guidare il lavoro e a determinare il livello dei risultati di un’organizzazione.
Questa affermazione non è per forza in conflitto con gli interessi delle persone, anzi. Esistono molte persone che vogliono essere A player, che hanno il desiderio di fare un lavoro significativo e d’impatto. E spesso per riuscirci hanno solo bisogno di organizzazioni che le riconoscono, danno loro spazio e opportunità per formarsi.
3. Dillo con parole tue
MrBeast stabilisce un criterio generale per la gestione della comunicazione interna: più è importante e complessa la cosa di cui parlare, più la comunicazione deve essere diretta e immediata.
Le conversazioni più impegnative, da cui dipende l’esito di un progetto, vanno fatte di persona, o parlando al telefono. Mentre messaggi scritti e email devono essere lasciati per le questioni meno urgenti e meno importanti.
Sembra quasi un rovesciamento del modo di procedere tradizionale, che dà la precedenza alla scrittura, all’email formale, al mettere nero-su-bianco. Ma in realtà la gerarchia di MrBeast ha perfettamente senso, e ci porta a ripensare il nostro uso degli strumenti di comunicazione.
In generale, vista la proliferazione di strumenti che abbiamo a disposizione, e la confusione tra canali pubblici, canali privati, social media, è importante riuscire a riallineare il contenuto e lo scopo della nostra comunicazione con lo strumento adeguato, trovare per ogni messaggio il canale giusto.
Non ha più nessun senso scrivere una mail con oggetto URGENTE: se è urgente, devi chiamare o cercare fisicamente la persona con cui hai bisogno di parlare, o comunque devi avere un canale designato per la gestione delle emergenze.
Anche perché, dice MrBeast, la comunicazione scritta non può essere considerata comunicazione finché qualcuno non ci garantisce che è stata letta. E anche questo dice molto sui tempi che stiamo vivendo.
In pratica
Il documento di MrBeast è una testimonianza preziosa per guardare dentro un’azienda che incarna alcune delle più significative tendenze del lavoro contemporaneo. E quindi per imparare qualcosa su come potrebbe cambiare il nostro lavoro.
Per le organizzazioni
Results first
Le aziende dovranno sempre di più lavorare per obiettivi, privilegiando la verifica dei risultati rispetto al controllo dei processi. Per farlo, dovranno abbracciare nuovi modelli organizzativi che prevedono flessibilità, capacità di adattamento, apertura all’esterno, regole e percorsi personalizzati.
Talent first
In futuro non saranno le imprese a dirigere o organizzare il lavoro, ma saranno i talenti a determinare come un lavoro verrà svolto e un obiettivo raggiunto. Alle aziende spetterà il compito di abilitare e coinvolgere i talenti, e di connetterli tra di loro.
Dall’ufficio alla community
Invece di preoccuparsi di tornare a riempire i luoghi di lavoro, le organizzazioni dovranno riorganizzare i propri spazi di comunicazione, creando piattaforme che possano connettere le persone nel modo più efficace possibile, sia online sia offline, da remoto e in presenza. Trasformandosi in community.
Per le persone
Riprenditi il talento
Le persone hanno la possibilità di riappropriarsi del talento: magari non tutti aspirano a essere MrBeast, ma la sua storia dimostra che in questo momento chiunque può fare qualunque cosa. E soprattutto chiunque può scegliere di gestire direttamente il proprio tempo e la propria creatività.
Non giocare in serie C
Ha sempre meno senso accontentarsi di essere il dipendente standard. Non si tratta di esasperare la propria performance, ma di trovare ciò che ci appassiona e farlo al meglio possibile, cercando di considerare il lavoro come un’opportunità di crescita. Anche perché lavorare solo per uno stipendio equivale a buttare una larga fetta del nostro tempo.
Fatti invitare
Nel contesto attuale le persone possono ambire a entrare in contatto con le organizzazioni non solo per farsi assumere, ma per contribuire a cambiarle. Perché le organizzazioni dovranno sempre più aprirsi, lasciarsi guidare dai talenti, e trasformarsi dall’esterno verso l’interno, anziché viceversa.