Work After Me
Storia del bambino che voleva smontare e ricostruire tutto
Stefano Maestri (iscrivetevi alla sua newsletter!) mi ha regalato due ore del suo tempo per registrare un podcast insieme. Due ore senza interruzioni, senza compressioni, senza l’obbligo di ridurre tutto a spezzoni da 30 secondi per i social.
Nel podcast racconto la mia storia, quella del bambino che non sopportava le regole e voleva smontare e ricostruire tutto.
Smontare e ricostruire
Il mio gioco preferito da bambino erano i Lego. Poi sono arrivati i videogiochi, soprattutto quelli di strategia, da Age of Empires a Rome Total War. Tra i giochi da tavolo Monopoli e Risiko, buffo perché nella mia vita né l’ossessione per i soldi né tantomeno una passione per la guerra sono mai stati tratti che mi hanno contraddistinto. Forse giocarci è il mio modo di esorcizzare qualcosa che fa parte della natura umana, e che io preferisco relegare alla dimensione delle partite tra amici.
Qualche anno fa, con Paolo, abbiamo scritto un numero di Futuri Preferibili che parlava di Lego. Per i nostri figli che giocano costruzione e distruzione hanno la stessa dignità, lo stesso valore: costruiscono una torre con attenzione ed entusiasmo, poi la spaccano con la stessa attenzione ed entusiasmo. Il gesto distruttivo è il motore necessario per il ciclo creativo successivo.
Per me il mondo è una gigantesca costruzione Lego. Mentre la maggior parte delle persone vede solo quanto sono splendide le case, le strade e i giardini costruiti, il mio occhio vede sempre cosa potrebbe essere smontato e costruito diversamente, per diventare migliore. Ho distrutto un sacco di cose nella mia vita, mettendo in discussione progetti, regole e processi, spesso con cicli temporali ipercompressi. Sperimento una cosa e dopo due settimane ne provo un’altra opposta. Questo crea frustrazione in chi lavora con me, ma chi riesce a superare l’attrito iniziale capisce che l’insofferenza verso lo status quo è l’unico vero motore del miglioramento: senza, non puoi costruire nulla di nuovo.
Futuri Preferibili
Mi è capitato di essere presentato a delle conferenze come “futurologo”. Chi si occupa di futuro cerca segnali deboli nel presente per capire se sono rappresentativi di scenari possibili. Con Paolo in Futuri Preferibili abbiamo scelto di occuparci di altro, di una porzione specifica dei futuri (perché il futuro è sempre al plurale) che è quella dei futuri che vorremmo vedere realizzati.
Qui lo sforzo si sposta dalla previsione all’immaginazione. E dopo aver immaginato un futuro migliore, usi tutte le dimensioni temporali per convincere quante più persone possibili della bontà della tua visione: il presente per dire cosa deve cambiare, il passato per rinforzare il messaggio con elementi che rendono la visione più convincente.
Vibe Working
Cosmico è il nostro futuro preferibile del lavoro. Con Francesco e Simone, nel 2020, abbiamo immaginato un futuro del lavoro costruito su quattro valori: libertà, connessione, significato, scoperta. Per farlo abbiamo creato la piattaforma del lavoro distribuito, per permettere a chi lavora di scegliere per chi, come, quando e da dove lavorare, alle organizzazioni di trovare competenze più velocemente, e a entrambi di vivere nuove esperienze e creare nuove relazioni.
Negli ultimi due anni il mondo è cambiato e così siamo evoluti anche noi. All’inizio di quest’anno abbiamo preso il termine vibe coding e l’abbiamo applicato al lavoro, inventando il vibe working: una nuova forma di lavoro meno rigida, meno tecnica, meno focalizzata sui task e più creativa, progressiva, migliorativa. Abbiamo a disposizione una nuova tecnologia e possiamo usarla per riconnettere il nostro lavoro con i problemi che vogliamo risolvere, dall’inizio alla fine.
E questo cambia completamente il rapporto con il lavoro. Non è più il compromesso che devi accettare per vivere, ma diventa un’esperienza trasformativa che attraverso la risoluzione di un problema ti permette di scoprire cose, di fare un avanzamento personale e professionale, e di essere utile agli altri.
Lavoro AI-Native
Fino alla fine del 2024 la visione di Cosmico sul futuro del lavoro era incentrata esclusivamente sul lavoro distribuito. Adesso il nostro futuro preferibile del lavoro è distribuito e AI-native.
Se pensi a tutto il ragionamento sull’intelligenza artificiale dentro le imprese, il 99% del dibattito è confinato nella dimensione tecnica. Per un’azienda fare intelligenza artificiale significa assumere esperti di AI, embeddarli nei team e applicare quella tecnologia a processi esistenti per accelerarli, aumentando l’efficienza, riducendo i costi.
Quasi nessuno si sta facendo la domanda più rilevante: quando questa tecnologia sarà pervasiva come l’elettricità o Internet, quali nuovi modelli di lavoro emergeranno? Quali nuove forme organizzative, prodotti o modelli di business saranno centrali in futuro? Questo è il momento in cui non serve prendere l’AI e applicarla a processi, progetti e modi di lavorare di persone che continuano a fare lo stesso lavoro di 20 anni fa. Bisognerebbe ripensare tutti questi progetti e processi per costruirli attorno alle nuove possibilità tecnologiche.
Un’illuminazione è arrivata leggendo come si lavora in organizzazioni AI-native, da OpenAI a Lovable. Se leggi tra le righe, non si parla mai di tecnologia come fine, ma di tecnologia come mezzo per innescare una trasformazione organizzativa, culturale, a volte persino politica.
High Agency vs Low Agency
La ripartizione tra tipologie professionali si è ridotta a due categorie: low agency e high agency. Persone con low agency aspettano che qualcuno dica loro cosa fare; persone con high agency identificano problemi e li risolvono in autonomia, senza attendere permessi.
Al professionista AI-native servono due cose:
AI literacy: conoscenza e consapevolezza di quello che puoi fare con i nuovi strumenti, non necessariamente tecnica, ma culturale e creativa.
High agency: la capacità di vedere i problemi e intervenire per risolverli.
Le persone con high agency sono sempre esistite, ma arrivavano a un certo punto della loro iniziativa e si accorgevano che la loro competenza finiva. Non è un caso che nella letteratura delle startup uno dei compiti più difficili per un imprenditore non sia trovare soldi, ma trovare persone giuste (competenti e culturalmente allineate) per sviluppare un progetto insieme.
Oggi abbiamo uno strumento che ha la capacità di rompere le barriere e di estendere in modo orizzontale le competenze di una persona con high agency: se prima per fare il prototipo di qualsiasi cosa servivano strategist, designer, programmatori e marketer, adesso puoi arrivare a fare cose concrete da solo.
Prendere agency è difficile, darla è devastante
Per prendere agency devi coltivare dentro di te la voce che dice “mi faccio carico della responsabilità di prendere questo problema e di risolverlo”. Molte persone nemmeno sanno che si può fare. Per questo il compito dei nuovi leader è:
far sapere alle persone con cui lavorano che hanno il potere di agire in autonomia;
non limitarsi a dirlo, ma dare loro tutti gli strumenti per farlo.
In Cosmico da mesi abbiamo deciso di costruire un AI Operating System con Claude. Abbiamo nutrito l’AI con tutte le informazioni di contesto sull’azienda, poi creato workflow che permettono alle persone e ai team di creare il loro contesto strategico e fare update e revisione ogni tre mesi, alla fine di ogni ciclo di OKR. Ogni team ha obiettivi trimestrali di revisione dei propri processi e workflow intorno all’AI. Abbiamo persone che sono incaricate di fare da trainer e supporter nell’adozione degli strumenti.
Questo aiuta le persone ad agire in autonomia, a prendere agency. Ma c’è una cosa ancora più difficile da fare, ovvero dare agency. Ho un OKR di questo trimestre che prevede la revisione di un workflow che oggi impiega quattro persone per essere preso in carico da una persona sola. Molti diranno: sta pensando all’ennesimo sistema per risparmiare soldi e tagliare persone. Ma l’efficienza è un effetto collaterale della trasformazione, che mi interessa onestamente poco: la cosa veramente importante è che se una persona riesce a collegarsi con un problema e portarlo dall’inizio alla fine, il suo rapporto con il lavoro cambia completamente. Vede l’effetto del suo lavoro, vede l’utilità nei confronti degli altri, quindi lavora meglio e passa da “fare le stesse cose di prima più velocemente” a “fare cose nuove in modo nuovo”.
Cosa serve perché questo accada? Serve che uno del team si faccia carico del workflow (prendere agency), e che gli altri trasformino la loro competenza specifica necessaria nel processo in uno strumento a disposizione della persona che si è presa la responsabilità (dare agency).
Questa parte è la più difficile e dove c’è più resistenza. Se hai costruito la tua identità professionale su una competenza unica e ti chiedo di trasformarla in uno strumento, di metterla a disposizione di qualcun altro attraverso una macchina, vedi i blocchi. Vedi le persone che dicono “non si può fare, ho studiato 15 anni per questo, figurati se riesco a dare a qualcun altro la mia sensibilità, il mio gusto estetico, la mia creatività, per giunta attraverso una macchina”. E invece noi stiamo martellando su questa cosa. È difficile, lo so, ma deve diventare la nostra ossessione. Questo è probabilmente il test di carattere più complicato della storia del lavoro.
La nuova scuola
Mi piacerebbe che le università e in generale i luoghi della formazione diventassero laboratori di risoluzione di problemi.
tutti collaborano a mettere sul tavolo problemi. Il formatore li orchestra, li ordina per complessità crescente, li sceglie in base alla capacità di approfondire concetti utili. Impari perché la conoscenza ti serve per risolvere un problema, non per passare un compito.
la macchina fa parte del processo di apprendimento. Se io imparo, impara anche la macchina, acquisisce più contesto, ed è più efficace nel servire il lavoro successivo.
quando tutti hanno fatto una soluzione, si fa critica collettiva. Sviluppare capacità di giudizio è fondamentale. Gli user group dei primi computer servivano a questo: sviluppare un senso critico che distingue tra una soluzione mediocre e una di alto livello.
chi ha fatto il lavoro migliore è obbligato a decostruire il processo. Mettere a fattor comune i passaggi, le fonti, i prompt, gli strumenti. Questo arricchisce il patrimonio culturale della classe e allena la macchina per supportare meglio i problemi futuri.
Siccome l’università non è in grado di rivedere la didattica attorno ai nuovi strumenti, almeno non in tempi brevi, ai miei figli direi: cercatevi contesti paralleli, alternativi, complementari. Cosmico è uno di questi contesti e stiamo lavorando perché diventi sempre più utile. Non un sostituto della formazione classica, ma una community di persone con le tue stesse domande e persone un po’ più avanti che ti aiutano a capire quello che oggi l’università fa fatica a spiegare.
Non siamo in guerra contro le macchine
C’è una narrativa dominante: devi avere paura delle macchine, devi preoccuparti che l’AI ti sostituisca, che ti tolga il lavoro, che renda obsolete le tue competenze.
Questa narrativa nasconde la battaglia vera, quella di chi nelle organizzazioni, negli enti, nei governi ha potere e controllo e per questo teme che persone insofferenti del controllo possano servirsi di una nuova tecnologia per bypassare i sistemi, per saltarli quando sono solo barriere e per abbatterli quando vanno distrutti. Chi controlla ha paura delle persone con agency, quelle che non aspettano permessi, che non sopportano ‘idea che ci sia qualcuno che debba dire loro cosa fare e che si possono servire di una tecnologia nuova per dire: del tuo controllo non me ne faccio niente, lo salto, lo distruggo, faccio tutto da solo.
Da una parte ci sono organizzazioni che prendono questa tecnologia e la usano per rafforzare il controllo: limitano l’accesso, vincolano gli strumenti, mantengono tutti i processi rigidi come prima ma con un po’ di “efficienza AI” spalmata sopra.
Dall’altra ci sono organizzazioni che distribuiscono il controllo: danno strumenti completi a tutti, ricostruiscono i processi da zero, accettano che il caos iniziale è il prezzo della trasformazione.
Cosmico ha scelto la seconda strada: Claude per tutti, sistema operativo aziendale nutrito con tutto il contesto dell’azienda, team obbligati a ripensare i loro workflow, OKR che dicono esplicitamente “questo processo deve passare da quattro persone a una persona sola”.
Crea frustrazione? Assolutamente. Funziona? Stiamo vedendo trasformazioni nel rapporto delle persone con il loro lavoro che non avrei mai immaginato possibili.
Dal contenuto al contesto
Se dico a una persona di raccontarsi e raccontare pubblicamente gli argomenti che in questo momento le interessano, c’è un blocco fortissimo. C’è già talmente tanto online, talmente tante persone che parlano delle stesse cose… Perché dovrei essere l’ennesima voce che si aggiunge?
La risposta è che siamo attratti da chi ha qualcosa da dire, ma ci affezioniamo e innamoriamo di chi ha qualcosa da scoprire. La ricerca, la curiosità, l’interpretazione oggi sono più importanti del contenuto in sé. Quando c’è tanto contenuto il valore si sposta sull’interpretazione.
Attention is all you need, ha detto Stefano, citando il paper che ha innescato la rivoluzione dei transformer e dell’AI generativa: l’attenzione è la risorsa più scarsa che l’uomo ha in questo momento, è non c’è nulla di più importante di una persona che ti dedica attenzione, presenza, tempo sincrono.
Grazie
Per questo la cosa più sensata da dire alla fine di un podcast di due ore è grazie. Grazie a Stefano Maestri per l’attenzione che mi ha dedicato, e grazie a tutti quelli tra voi che faranno lo stesso. Nel 2017 un paper ci ha insegnato che l’attenzione è tutto quello che serve per far funzionare le macchine: nel 2025 stiamo scoprendo che è anche quello che serve per costruire un futuro migliore per noi.




Che botta!
Commento come di consueto: ricopio le parti che mi hanno stimolato e a seguire con una (R) la mia Riflessione e Restituzione.
Per i nostri figli che giocano, costruzione e distruzione hanno la stessa dignità, lo stesso valore: costruiscono una torre con attenzione ed entusiasmo, poi la spaccano con la stessa attenzione ed entusiasmo. Il gesto distruttivo è il motore necessario per il ciclo creativo successivo.
(R)
Mi hai ricordato la prima volta che ho vissuto un evento di LEGO® Serious Play: mi sono ritrovato improvvisamente nella memoria antica del bambino che ero, intento a costruire modellini, distruggerli e poi rimescolare i pezzi per creare, con i frammenti di dieci mondi diversi, astronavi megagalattiche.
Forse lì ho costruito il mio primo bundle di euristiche, quelle che ancora oggi orientano il mio modo di interagire con la realtà.
Anche nei giochi da tavolo o di strategia, come Risiko, Age of Empires e simili, mi affascinava più l’architettura delle mosse, la costruzione e la ricostruzione del sistema, che la vittoria finale.
Nel tempo ho capito che la distruzione è come la rabbia: un’esplosione che brucia tutto, mentre smontare è come la determinazione ovvero rabbia accolta, diretta dalla e integrata nella ragione, trasformata in grinta lucida e focalizzata.
Quando distruggi, non apprendi né dal passato né da chi ha costruito; quando smonti, invece, ricomponi con armonia, rispetto e curiosità, imparando da ciò che è stato prima di te.
...
Il mio occhio vede sempre cosa potrebbe essere smontato e costruito diversamente, per diventare migliore.
(R)
Non so se il mio occhio “veda” allo stesso modo.
In me, è simile la fine ma diverso l’inizio: reagisco alla realtà partendo dall’intensità emotiva.
Quando qualcosa mi entusiasma o mi ferisce, accolgo quell’emozione e la uso come segnale per chiedermi come posso ricostruire o costruirci sopra in modo più utile, più armonico, più vantaggioso per tutti.
È la mia forma personale di progettazione: partire dall’impatto emotivo per arrivare alla forma funzionale.
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Il lavoro diventa un’esperienza trasformativa che, attraverso la risoluzione di un problema, ti permette di scoprire cose, di fare un avanzamento personale e professionale e di essere utile agli altri.
(R)
Ho sempre apprezzato l’idea che “il lavoro nobiliti l’essere umano”. Non l’uomo ma l’essere umano.
L’ho reinterpretata così: il lavoro è la capacità di un essere umano di usare le risorse disponibili per crearne di nuove, da restituire a sé e alla collettività che lo accoglie.
La tecnologia, oggi, ci riporta proprio a quell’origine perché ci permette di tornare a vivere il lavoro come esperienza trasformativa, dove la mente e la mano tornano alleate nella creazione di valore.
...
Al professionista AI-native servono due cose:
AI literacy e High agency.
(R)
(intanto grazie perché questo punto lo integro nel wsp sull’Agency…)
A queste due aggiungerei una terza componente: Competenza.
Conoscenza, Consapevolezza e Competenza: le 3C dell’AI literacy.
Perché conoscere e comprendere non bastano se non sai agire con agilità e padronanza dello strumento.
Solo la piena competenza alleggerisce il processo e restituisce la leggerezza del gesto esperto.
...
Per prendere agency devi coltivare dentro di te la voce che dice “mi faccio carico della responsabilità di prendere questo problema e di risolverlo”.
(R)
La cosa bella è che quella voce è già dentro di noi.
È scritta nel DNA, tramandata dai nostri avi come istinto di sopravvivenza e curiosità.
Nel mio caso, quella voce suona così: “Che meraviglia poter rispondere a questo problema e scoprire le soluzioni nascoste in esso”.
Nasciamo problem solver con piacere, poi lo dimentichiamo.
Riattivare la nostra agency è come riscoprire un muscolo atavico che aspetta solo di essere usato e allenato.
...
Costruire un AI Operating System con Claude.
(R)
Con la creazione del vostro “AIOS” avete fatto molto di più: avete modificato il contesto, facilitando l’allenamento e l’espressione di un’abilità nativa dell’essere umano, l’agency.
Avete creato uno spazio che allena la libertà di agire con consapevolezza. Complimenti.
...
Sta pensando all’ennesimo sistema per risparmiare soldi e tagliare persone.
(R)
In realtà voi non “risparmiate soldi”: tutelate risorse, le usate per esprimerne il massimo potenziale.
E non tagliate persone: tagliate le corde che le tengono legate (e prigioniere) al sicuro, impedendo loro di evolvere.
Le persone libere restano, vanno, tornano.
Portano con sé un senso rinnovato di libertà e di appartenenza.
È la libertà di agire e, insieme, la libertà di re-stare bene.
...
Questo è probabilmente il test di carattere più complicato della storia del lavoro.
(R)
Su questo ho una convinzione forte: se colleghi l’etichetta del mestiere al valore della persona, la indebolisci.
Se invece ti occupi del suo bisogno più profondo che è di essere visto/a, esistere per gli altri, ricevere riconoscimento (non riconoscenza) per il valore che genera, allora l’etichetta torna a essere un ponte, non una prigione o un’isola deserta dove perdersi.
Serve un sistema che restituisca costantemente il valore prodotto e riconosca regolarmente le persone, prendendo esempio dagli artigiani del passato.
Solo l’analogico, o meglio l’umano biologicamente relazionale, può restituire quella concretezza che il digitale ha inevitabilmente rarefatto.
...
(R)
Sull’università la penso come voi: il formatore si evolverà in trasformatore, con l’AI companion come alleato.
L’università potrà così tornare ad essere un laboratorio per adulti completi sul piano biologico, pronti a sviluppare l’hardware cerebrale attraverso l’unico linguaggio che connette davvero mente ed esperienza: l’azione.
O, ancora meglio, la ragione che desidera riconnettersi alle emozioni.
...
Crea frustrazione? Assolutamente.
Funziona? Stiamo vedendo trasformazioni nel rapporto delle persone con il loro lavoro che non avrei mai immaginato possibili.
(R)
Siete certi che sia “frustrazione”?
Io credo sia qualcosa di diverso da un ostacolo, qualcosa che somigli più ad un attrito generativo, un disagio fertile che produce energia e direzione.
La frustrazione immobilizza; l’attrito creativo, invece, muove e affina.
Forse il vero test del futuro non è evitare l’attrito, ma imparare a trasformarlo in spinta evolutiva (mi sono “aizzato”: questa frase sembra scritta dall’AI)
CTA per voi: quale parola usereste voi per definire questo stato intermedio, vivo, scomodo ma produttivo, che precede ogni vera trasformazione? Quale parola alternativa è più funzionale di “frustrazione”?
Grazie a te Matteo e a tutti quelli che vorranno ascoltare la nostra conversazione. L'ho già detto su LinkedIn ed in podcast. Per me è stato stato un piacere ed un momento di arricchimento