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GIOVANNI GIBIINO's avatar

Che botta!

Commento come di consueto: ricopio le parti che mi hanno stimolato e a seguire con una (R) la mia Riflessione e Restituzione.

Per i nostri figli che giocano, costruzione e distruzione hanno la stessa dignità, lo stesso valore: costruiscono una torre con attenzione ed entusiasmo, poi la spaccano con la stessa attenzione ed entusiasmo. Il gesto distruttivo è il motore necessario per il ciclo creativo successivo.

(R)

Mi hai ricordato la prima volta che ho vissuto un evento di LEGO® Serious Play: mi sono ritrovato improvvisamente nella memoria antica del bambino che ero, intento a costruire modellini, distruggerli e poi rimescolare i pezzi per creare, con i frammenti di dieci mondi diversi, astronavi megagalattiche.

Forse lì ho costruito il mio primo bundle di euristiche, quelle che ancora oggi orientano il mio modo di interagire con la realtà.

Anche nei giochi da tavolo o di strategia, come Risiko, Age of Empires e simili, mi affascinava più l’architettura delle mosse, la costruzione e la ricostruzione del sistema, che la vittoria finale.

Nel tempo ho capito che la distruzione è come la rabbia: un’esplosione che brucia tutto, mentre smontare è come la determinazione ovvero rabbia accolta, diretta dalla e integrata nella ragione, trasformata in grinta lucida e focalizzata.

Quando distruggi, non apprendi né dal passato né da chi ha costruito; quando smonti, invece, ricomponi con armonia, rispetto e curiosità, imparando da ciò che è stato prima di te.

...

Il mio occhio vede sempre cosa potrebbe essere smontato e costruito diversamente, per diventare migliore.

(R)

Non so se il mio occhio “veda” allo stesso modo.

In me, è simile la fine ma diverso l’inizio: reagisco alla realtà partendo dall’intensità emotiva.

Quando qualcosa mi entusiasma o mi ferisce, accolgo quell’emozione e la uso come segnale per chiedermi come posso ricostruire o costruirci sopra in modo più utile, più armonico, più vantaggioso per tutti.

È la mia forma personale di progettazione: partire dall’impatto emotivo per arrivare alla forma funzionale.

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Il lavoro diventa un’esperienza trasformativa che, attraverso la risoluzione di un problema, ti permette di scoprire cose, di fare un avanzamento personale e professionale e di essere utile agli altri.

(R)

Ho sempre apprezzato l’idea che “il lavoro nobiliti l’essere umano”. Non l’uomo ma l’essere umano.

L’ho reinterpretata così: il lavoro è la capacità di un essere umano di usare le risorse disponibili per crearne di nuove, da restituire a sé e alla collettività che lo accoglie.

La tecnologia, oggi, ci riporta proprio a quell’origine perché ci permette di tornare a vivere il lavoro come esperienza trasformativa, dove la mente e la mano tornano alleate nella creazione di valore.

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Al professionista AI-native servono due cose:

AI literacy e High agency.

(R)

(intanto grazie perché questo punto lo integro nel wsp sull’Agency…)

A queste due aggiungerei una terza componente: Competenza.

Conoscenza, Consapevolezza e Competenza: le 3C dell’AI literacy.

Perché conoscere e comprendere non bastano se non sai agire con agilità e padronanza dello strumento.

Solo la piena competenza alleggerisce il processo e restituisce la leggerezza del gesto esperto.

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Per prendere agency devi coltivare dentro di te la voce che dice “mi faccio carico della responsabilità di prendere questo problema e di risolverlo”.

(R)

La cosa bella è che quella voce è già dentro di noi.

È scritta nel DNA, tramandata dai nostri avi come istinto di sopravvivenza e curiosità.

Nel mio caso, quella voce suona così: “Che meraviglia poter rispondere a questo problema e scoprire le soluzioni nascoste in esso”.

Nasciamo problem solver con piacere, poi lo dimentichiamo.

Riattivare la nostra agency è come riscoprire un muscolo atavico che aspetta solo di essere usato e allenato.

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Costruire un AI Operating System con Claude.

(R)

Con la creazione del vostro “AIOS” avete fatto molto di più: avete modificato il contesto, facilitando l’allenamento e l’espressione di un’abilità nativa dell’essere umano, l’agency.

Avete creato uno spazio che allena la libertà di agire con consapevolezza. Complimenti.

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Sta pensando all’ennesimo sistema per risparmiare soldi e tagliare persone.

(R)

In realtà voi non “risparmiate soldi”: tutelate risorse, le usate per esprimerne il massimo potenziale.

E non tagliate persone: tagliate le corde che le tengono legate (e prigioniere) al sicuro, impedendo loro di evolvere.

Le persone libere restano, vanno, tornano.

Portano con sé un senso rinnovato di libertà e di appartenenza.

È la libertà di agire e, insieme, la libertà di re-stare bene.

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Questo è probabilmente il test di carattere più complicato della storia del lavoro.

(R)

Su questo ho una convinzione forte: se colleghi l’etichetta del mestiere al valore della persona, la indebolisci.

Se invece ti occupi del suo bisogno più profondo che è di essere visto/a, esistere per gli altri, ricevere riconoscimento (non riconoscenza) per il valore che genera, allora l’etichetta torna a essere un ponte, non una prigione o un’isola deserta dove perdersi.

Serve un sistema che restituisca costantemente il valore prodotto e riconosca regolarmente le persone, prendendo esempio dagli artigiani del passato.

Solo l’analogico, o meglio l’umano biologicamente relazionale, può restituire quella concretezza che il digitale ha inevitabilmente rarefatto.

...

(R)

Sull’università la penso come voi: il formatore si evolverà in trasformatore, con l’AI companion come alleato.

L’università potrà così tornare ad essere un laboratorio per adulti completi sul piano biologico, pronti a sviluppare l’hardware cerebrale attraverso l’unico linguaggio che connette davvero mente ed esperienza: l’azione.

O, ancora meglio, la ragione che desidera riconnettersi alle emozioni.

...

Crea frustrazione? Assolutamente.

Funziona? Stiamo vedendo trasformazioni nel rapporto delle persone con il loro lavoro che non avrei mai immaginato possibili.

(R)

Siete certi che sia “frustrazione”?

Io credo sia qualcosa di diverso da un ostacolo, qualcosa che somigli più ad un attrito generativo, un disagio fertile che produce energia e direzione.

La frustrazione immobilizza; l’attrito creativo, invece, muove e affina.

Forse il vero test del futuro non è evitare l’attrito, ma imparare a trasformarlo in spinta evolutiva (mi sono “aizzato”: questa frase sembra scritta dall’AI)

CTA per voi: quale parola usereste voi per definire questo stato intermedio, vivo, scomodo ma produttivo, che precede ogni vera trasformazione? Quale parola alternativa è più funzionale di “frustrazione”?

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Stefano Maestri's avatar

Grazie a te Matteo e a tutti quelli che vorranno ascoltare la nostra conversazione. L'ho già detto su LinkedIn ed in podcast. Per me è stato stato un piacere ed un momento di arricchimento

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